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Anniversari

Freaks di Tod Browning: un film “mostruoso”

Nel 1932 usciva nei cinema americani Freaks di Tod Browning, film maledetto prodotto dalla MGM per contrastare il successo della Universal.

Tempo di lettura: 10 minuti

Il cinema è sempre stato attratto dal diverso. Sono molti, infatti, i film che hanno raccontato storie incentrate su figure borderline, spesso ostracizzate dalla società. Tra queste i freaks – traduzione letteraria: gli scherzi della natura -, sono stati sovente eletti a protagonisti assoluti. Alcuni autori cinematografici hanno persino costruito attorno a loro la propria poetica. Pensiamo ad esempio a Tim Burton, regista (tra gli altri) di Edward mani di forbici e del dittico Batman e Batman – Il ritorno (in fondo, i suoi Joker e Pinguino non sono fenomeni da baraccone?). E che dire invece di Guillermo Del Toro, già autore de La forma dell’acqua – Shape of Water e ora al cinema con La fiera delle illusioni (la cui storia si svolge parzialmente all’interno di un circo itinerante). Un interesse che affonda le proprie radici nel fascino perturbante da sempre emanato dal “diverso”.

Freaks
Una scena di Freaks

Oggi persino il circo ha perso appeal nei confronti del pubblico, ma c’è stato un periodo in cui gli spettacoli itineranti avevano un enorme successo; in particolare quelli che mettevano in mostra i freaks. Uomini spillo, donne barbute, uomini-torso, nani: tutte figure capaci di affascinare e, al contempo, inorridire. Al cinema la loro comparsa ufficiale è datata 1932, quando uscì nelle sale americane Freaks di Tod Browning. Film oscuro e inquietante, Freaks manifesta fin dalle prime sequenze l’esplicita influenza dell’Espressionismo tedesco e l’altrettanto evidente volontà di cavalcare il successo del cinema horror che contraddistinse in quegli anni Hollywood. Un’opera visionaria che compie 90 anni, ma che ancora oggi continua a stupire per il sapiente bilanciamento tra crudo realismo (a tratti quasi documentario) e angoscianti elementi riconducibili agli archetipi del fantastico.

A Hollywood arrivano i mostri

L’horror è senza dubbio uno dei generi più popolari e longevi della storia del cinema. Ma in che epoca possiamo rintracciarne le origini? Solitamente, quando parliamo di film dell’orrore, pensiamo alla Golden Age degli anni ’70 e ’80 e a registi quali Wes Craven, John Carpenter e Tobe Hooper. Grazie anche al contributo della New Hollywood, che sdoganò in particolare la rappresentazione (più voyeuristica che realistica) della violenza, in quegli anni uscirono una serie di capisaldi del genere, come L’ultima casa a sinistra (1972), Non aprite quella porta (1973) – di cui recentemente su Netflix è uscito un nuovo sequel -, e Halloween – La notte delle streghe (1978). Per tornare alle origini del genere, però, bisogna andare ancora più a ritroso.

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Da sinistra, Henry Victor (Hercules), Henry Earles (Hans) e Olga Baclanova (Cleopatra) in una scena di Freaks

Non è compito di questo articolo tracciare una panoramica esaustiva sulla nascita e l’evoluzione del genere; nel nostro caso ci limiteremo a evidenziare un passaggio chiave della sua storia: la realizzazione, nel 1920, del classico dell’espressionismo tedesco Il gabinetto del Dottor Caligari di Robert Wiene. In particolare, ciò che ci preme sottolineare è l’impatto che il film tedesco ebbe sull’industria hollywoodiana. Non a caso, fu proprio in quegli anni che il cinema americano scoprì il fascino del cinema dell’orrore. A contendersi il mercato furono da subito la Metro Goldwyn Mayer (MGM) e la Universal. Nel giro di dieci anni, gli schermi cinematografici vennero invasi da mostri di vario genere: vampiri, golem, mummie, persino zombie (nel 1932 Victor Halperin diresse L’isola degli zombie).

La Universal si impose progressivamente già a partire dagli anni ’20, ma la MGM rispose colpo su colpo, innanzitutto scritturando l’attore Lon Chaney e poi promuovendo il sodalizio – udite, udite – proprio tra quest’ultimo e Tod Browning (tra i film più celebri del duo, Lo sconosciuto, del 1927). All’inizio degli anni ’30, però, il panorama pareva sostanzialmente immutato, con la Universal capace di mettere in cantiere alcuni dei suoi titoli più celebri: Frankenstein (1931), L’uomo invisibile (1935) e La moglie di Frankenstein (1935), tutti e tre diretti da James Whale. Capostipite di quello che potremmo definire un horror cinematic universe (oggi maldestramente riproposto dalla stessa Universal con poco successo) fu però Dracula (1931), libera trasposizione del romanzo di Bram Stoker firmata dall’instancabile Browning (con Bela Lugosi nella parte del vampiro).

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Peter Robison e Wallace Ford (Phroso) in una scena di Freaks

Fu proprio il successo di quest’ultimo film che convinse la MGM a sottrarre Browning alla concorrenza, proponendogli di lavorare a un nuovo progetto con la massima libertà. Irving Thalberg, all’epoca capo della produzione, cercò di convincere il regista a realizzare una trasposizione dei romanzi dello scrittore francese Maurice Leblanc con protagonisti Arsène Lupin (a proposito: avete visto l’interessante serie Netflix?). Browing però rifiutò, scegliendo di adattare un misconosciuto racconto di Clarence Robbins del 1923: Spurs. L’opera raccontava una storia torbida ambientata in un circo itinerante: quella del matrimonio (di convenienza) tra un nano e una bella cavallerizza che (ovviamente) finiva in tragedia. Benché titubanti, sia Thalberg che il patron della MGM Louis B. Mayer diedero carta bianca a Browning. Il risultato finale fu Freaks e, come vedremo, le cose non andarono come previsto dai produttori.

Un film maledetto

Vi è una sostanziale differenza tra Freaks e le pellicole horror che imperversavano in quegli anni: i protagonisti non sono veri mostri, bensì esseri umani affetti da patologie croniche che ne hanno causato malformazioni più o meno gravi. La scelta di scritturare dei veri freaks come attori fu sicuramente rivoluzionaria, così come la volontà di scrivere un soggetto (firmato da Willis Goldbeck ed Elliot Clawson) il più perturbante possibile. Riguardo all’utilizzo dei freaks, a dire il vero, Mayer cercò di opporsi, ma Thalberg riuscì a persuaderlo. I primi problemi, durante le riprese, scaturirono proprio a causa della loro presenza sul set. Gli storici del cinema che si sono occupati di ricostruire la storia produttiva del film sono concordi nel sottolineare lo sconcerto che accompagnò le riprese.

Freaks
Il parto della donna barbuta in Freaks

Gli studi della MGM furono infatti vittime di una rivolta da parte dei dipendenti, poco inclini a condividere i loro spazi con gli interpreti del film di Browning. Lo scontento generale indusse la casa di produzione a costruire un locale solo per i freaks all’interno degli studios, in modo tale da evitare il contatto tra loro e le maestranze che lavoravano alle altre pellicole in produzione. Avrebbe potuto limitarsi tutto a questo. In fondo, quanti film hanno vissuto vicissitudini produttive travagliate? Ma non fu così. Purtroppo per Thalberg e la MGM le cose non andarono bene neppure una volta che il film venne ultimato. Fin dalle prime proiezioni di prova, infatti, Freaks sconvolse sì il pubblico, ma negativamente.

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Il matrimonio tra Hans e Cleopatra in Freaks

Qui il confine tra cronaca e fantasia tende a confondersi. All’epoca si parlò non solo di (classici) svenimenti in sala, ma persino dell’aborto di una donna, scioccata dalla visione. Comunque sia andata veramente, una cosa è certa: il film non convinse gli spettatori. Thalberg fu quindi costretto a tornare sui propri passi cercando di salvare il salvabile. Fece rimontare la pellicola, eliminando le sequenze più “forti”. La durata del film si ridusse da 90 a 60 minuti (la versione che oggi possiamo vedere su Amazon Prime Video). Nonostante il tentativo di metterci una pezza, fu un fiasco commerciale. Alcuni paesi, come ad esempio la Gran Bretagna, ne vietarono persino la distribuzione. Va da sé che l’insuccesso di Freaks segnò la fine (ufficiosa più che ufficiale) della carriera di Browning. E per la rivalutazione di quello che oggi è ritenuto dalla critica il suo capolavoro si dovette attendere trent’anni, quando al Festival di Cannes del 1962 finalmente per il film iniziò una nuova vita.

Diversi da chi?

La storia narrata in Freaks utilizzando gli stilemi del cinema horror ruota intorno al tema del “diverso”. Ma non solo, perché ad essere chiamato in causa è anche il concetto di “mostruosità”. Sono due aspetti sui quali il film di Browning riflette con soventi capovolgimenti di prospettiva. In particolare, due domande sembrano emergere costantemente durante il corso della narrazione. La prima: i “diversi” (i freaks) sono davvero diversi? La seconda: chi sono i veri mostri? Alla prima Browning risponde implicitamente nel momento in cui decide di affidarsi a veri freaks, donando dunque agli interpreti e ai loro personaggi una dignità che la società del tempo certamente non riusciva a/si rifiutava di dare loro. Al di là degli attori affetti da nanismo Harry Earls e Daisy Earls, che impersonano rispettivamente Hans e Frida, tutti gli altri freaks sono ovviamente non professionisti.

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Josephine Joseph (sé stessa), Edward Brophy e Matt McHugh (i fratelli Rollo) in Freaks

Questa forma di inclusione è rafforzata anche dalla scelta di Browning – che strinse un legame di amicizia con i “suoi” freaks – di propendere per una messa in scena influenzata, in buona parte, dall’estetica documentaria. La cinepresa filma i personaggi senza alcun voyeurismo, con uno sguardo profondamente umano; si sofferma in particolare sulla descrizione della loro quotidianità, mostrandocela identica a quella tutti gli altri personaggi. In fondo, come ricorda Hans all’affascinante e perfida acrobata Cleopatra (Olga Baclanova), futura causa delle sue disgrazie: «Proviamo gli stessi sentimenti delle persone reputate normali». Dunque, la risposta alla prima domanda non può che essere “no”, perché a ben vedere non vi è alcuna differenza. E affermare questo nei primi anni ’30 non era affatto scontato (e forse non lo è neppure oggi).

Veniamo dunque alla seconda domanda che ci pone film: chi sono i mostri in Freaks? Abbiamo appena detto che coloro che dovrebbero recitare tale (scomoda) parte non sono altro che esseri umani. E qui risiede il secondo cambio di prospettiva attuato da Browning. Se nel racconto di Gibbons il vero villain era il nano Hans, nel film senza alcun dubbio gli antagonisti sono la bella e rapace Cleopatra e il suo amante forzuto Hercules (Henry Victor). Sono loro i depositari di una degenerazione morale accentuata anche dalla contrapposizione con le positive figure del clown Phroso (Wallace Ford) e della casta Venus (Leila Hyams), che non a caso intrattengono con i freaks un rapporto (paritario) di sincera amicizia.

Freaks
Una scena di Freaks

Venuti a conoscenza della fortuna ereditata da Hans, Cleopatra ed Hercules gli fanno credere che l’acrobata nutra verso di lui un sentimento amoroso. Malvagi e crudeli, i due danno il meglio di loro nella tragica (ma per questo sublime) sequenza della festa di nozze di Hans e Cleopatra. La festa è animata dalla simpatia dei freaks, che cantano e ballano senza sosta; tutti tranne Frida, addolorata non solo perché Hans l’ha piantata in asso, ma perché intuisce che il suo ex fidanzato è stato raggirato. Il comportamento di Cleopatra ed Hercules conferma proprio tale timore. Durante la festa i due truffatori oltraggiano Hans in ogni modo possibile. Prima si baciano in pubblico, senza alcun ritegno, di fronte a uno sposo sbigottito; poi, la donna si rifiuta di bere dalla coppa dell’amore offerta dagli altri freaks (gesto che ne sancirebbe l’accettazione da parte della comunità dei “diversi”), scacciandoli al grido: «Luridi mostri schifosi!»; ed infine, sempre la novella sposa sbeffeggia il marito prendendolo sulle spalle come fosse un bambino. Un atteggiamento sprezzante che Cleopatra ed Hercules pagheranno a caro prezzo.

Un finale terrificante

Utilizzando un lessico in voga negli ultimi anni, possiamo affermare con certezza che l’incipit di Freaks contiene un emblematico spoiler. Non si tratta di un’anticipazione esibita, bensì di un indizio circa il destino che attende Cleopatra ed Hercules. Siamo all’interno di un circo itinerante e un imbonitore mostra a un folto numero di presenti una creatura mostruosa (di cui ci è preclusa inizialmente la visione). L’imbonitore inizia a raccontare la storia di una bellissima donna (Cleopatra, ovviamente) e, nel fare ciò, offre un significativo particolare del legame fraterno che lega tutti i freaks: «Offendetene uno e li offenderete tutti». È proprio quello che accade anche nell’epilogo del film di Browning. Il comportamento di Cleopatra ed Hercules nei confronti di Hans, come già accennato, non passa inosservato e genera delle (per loro inevitabili quanto tragiche) conseguenze.

Freaks
Daisy e Violet Hilton in una scena di Freaks

Fin dall’inizio le attenzioni che Hans rivolge verso Cleopatra – e da questa assecondate per bieco divertimento – destano non poche preoccupazioni negli altri freaks. Quando poi, dopo le nozze, la sposa tenta di avvelenare Hans le cose prendono irrimediabilmente una brutta piega. La sequenza del matrimonio rappresenta da questo punto di vista un significativo turning point. Ma, attenzione: non solo narrativo, anche estetico. Fino a quel momento, infatti, Freaks è contraddistinto (come già anticipato) da una sapiente alternanza tra sequenze drammatiche, scene di alleggerimento – la difficile relazione tra il balbuziente Roscoe (Roscoe Ates) con le sorelle siamesi Daisy e Violet (Daisy e Violet Hilton) – e scene puramente documentarie. L’ultima parte della pellicola, invece, viene monopolizzata dal registro horror.

Resisi ormai conto della finalità che muove Cleopatra ed Hercules, i freaks, capeggiati da un Hans nel frattempo rinsavito, si accingono a compiere la loro vendetta. L’azione punitiva è anticipata da un dialogo tra i novelli sposi, durante il quale Hans beffardamente esclama: «Cleo, non dimenticherò mai quello che stai facendo per me». Così, durante una notte buia e tempestosa, mentre la carovana del circo in viaggio per chissà quali lidi sta attraversando una lugubre foresta, i freaks cacciano le loro prede. La cinepresa di Browning si abbassa al di sotto delle carrozze, dove i freaks emergono dalla grondante oscurità come spettri generati dagli incubi dei due villain. Al di là della sapienza con la quale la sequenza è orchestrata, è interessante notare anche in questo caso un ulteriore ribaltamento di prospettiva.

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Cleopatra trasformata in donna-gallina nel finale di Freaks

Abbiamo infatti detto che Freaks è un film contraddistinto dalla volontà di includere il “diverso”. Per questo motivo i freaks non ci vengono presentati come un manifesto dell’alterità, ma come esseri umani a tutti gli effetti, con i loro pregi e i loro difetti (benché irretito da Cleopatra, anche Hans non si comporta da signore con la povera Frida). Ma Browning sembra voler andare ancora oltre. Così, dopo aver giocato fin da subito con le aspettative di uno spettatore che è chiamato per quasi tutto il film a mettere in discussione la sua paura nei confronti del diverso, quando ormai ci eravamo abituati a codificare come “mostri” Cleopatra ed Hercules, in un finale di sussurrata violenza ecco che i freaks acquisiscono quella dimensione terrificante che la società era/è solita attribuire loro. Senza pietà aggrediscono Hercules (che nella versione originale veniva evirato) e trasformano Cleopatra in un essere (questa volta mostruoso per davvero) metà donna, metà gallina. Ed è con questa immagine angosciante che si conclude Freaks. L’ennesimo sberleffo di un film tanto inquietante quanto memorabile.

Leggi anche: Il cammino nella notte, i fantasmi di Murnau lontani un secolo

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