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Il cammino nella notte

Anniversari

Il cammino nella notte, i fantasmi di Murnau lontani un secolo

“Il cammino nella notte” di F. W. Murnau: tra espressionismo, kammerspiel e inquietanti messinscena.

Tempo di lettura: 12 minuti

Usciva un secolo fa Il cammino nella notte, primo lungometraggio superstite di Friedrich Wilhelm Murnau. Film di insospettabile forza e rigore formale, esso rivela non solo alcuni temi e soluzioni divenuti poi ricorrenti nella poetica di uno dei più grandi registi della storia, ma anche una maturità e una consapevolezza del mezzo cinematografico superiore rispetto a titoli più famosi (ad esempio Il castello di Vogelod, 1921). Murnau l’eclettico, il visionario. Un regista per il quale ogni rigido incasellamento di comodo risulterebbe vano, oltre che intellettualmente povero. Un artista in grado di richiamare aure sinistre e perturbanti, con la terribile naturalezza dei geni della Settima Arte.

Espressionismi, romanticismi, naturalismi: genealogia del problema-Murnau

Approcciarsi a Murnau, specie quello di questo “primo” film, è un po’ come inseguire quei fantasmi che tante volte il regista ha filmato nelle sue opere. Qualche frammento (Satana, 1919; Marizza, detta la signora dei contrabbandieri, 1922), rare foto di scena: poco altro ci è giunto prima de Il cammino nella notte. Pare che lo stesso F. W. avesse un giudizio molto negativo sulla primissima parte della propria produzione, quella dell’apprendistato. La complessiva frammentarietà dell’opera inficia forse irrimediabilmente la possibilità di cogliere con pienezza l’insieme del suo percorso poetico. Ad aggravare la situazione, esiste un problema-Murnau di natura accademica e classificatoria, dovuto all’incommensurabilità di una produzione così unica e personale, così sincretistica nelle origini fondanti (almeno, di quelle note) da essere quasi un unicum nella storia del cinema.

Una scena tratta da Il cammino nella notte
Una scena tratta da Il cammino nella notte

La formazione teatrale di Murnau ebbe un peso determinante, e non solo forgiando in maniera decisiva la sua idea di messinscena cinematografica. I già tesi rapporti col padre, infatti, si incrinarono del tutto quando gli comunicò la decisione di dedicarsi alla carriera di attore sotto la guida di Max Reinhardt, evento che segnò per lui l’affrancamento dalla famiglia e l’abbandono del suo vero cognome. Guru del teatro berlinese ed europeo degli anni Dieci e Venti, nonché mago delle luci e delle innovazioni tecniche applicate alla messinscena, Reinhardt fu il polo gravitazionale attorno al quale mossero i primi passi personalità del calibro di Fritz Lang, Ernst Lubitsch, Georg Wilhelm Pabst e appunto Murnau, che, giovanissimo, interpretò per lui proprio il Faust. È forse da ricondurre a queste esperienze la germinazione di quella sensibilità luministica e del gusto figurativo della rappresentazione, poi marchi tipici del cinema murnauiano. Impossibile poi non rintracciare certe tendenze pittoriche, sebbene ne Il cammino nella notte non siamo ancora alla deflagrazione del Nosferatu (1922).

Il dottor Eigil, protagonista de Il cammino nella notte
Il dottor Eigil, protagonista de Il cammino nella notte

C’è poi un ulteriore elemento che contribuisce a decifrare la poetica romantica di Murnau, ed è da ricondurre a quel misto di naturalismo della rappresentazione e drammatizzazione paesaggistica che proveniva dalla grande lezione cinematografica scandinava. Sjöström, Stiller e Rye, con il loro utilizzo di illuminazioni naturali e con l’insistenza sul rapporto uomo-natura, erano stati tra i principali registi che prima della Grande Guerra avevano marchiato il gusto europeo, fungendo da apripista alla concezione/commercializzazione del cinema autoriale (“artistico”) che dopo il ’20 cominciò a invadere Hollywood. Quel cinema chiaroscurale, filtrato attraverso le lezioni del citato Reinhardt, attecchì in profondità nella sensibilità artistica di Murnau, e cominciò a mostrare i suoi primi, mirabili frutti proprio ne Il cammino nella notte.

Non è tutto Espressionismo quello che (non) luccica

Come tutte le etichette, anche quella dell’espressionismo sottende dei rischi, e qualora si declinasse in maniera rigida è chiaro che Il cammino nella notte non rientrerebbe in pieno in questa classificazione. Esistono, certo, delle somiglianze di famiglia. Che l’espressionismo sia coestensivo con il Caligari (1920) e con le sole opere che ne imitarono quasi pedissequamente gli stilemi; o che esso venga inteso invece come categoria produttivo-commerciale utile alle esportazioni dell’UFA di Pommer verso il mercato statunitense in coeva espansione, ebbene Murnau vi si inscrisse solo in maniera tangenziale. Naturalmente la figura di Carl Mayer (sceneggiatore del Caligari) e l’interpretazione di Conrad Veidt spinsero in direzione del capolavoro di Wiene, ma si trattava di accenni, non di copiature. Forse nemmeno la locuzione “cinema di Weimar”, con le sue connotazioni invece più politiche e ideologiche – prima che plastiche e stilistiche – sembra combaciare perfettamente, né con l’intento del film, né col temperamento un po’ da flâneur del regista, sì vicino alla sinistra e ai comunisti tedeschi, ma mai esplicitamente schierato sul piano ideologico negli anni della travagliata Repubblica.

Conrad Veidt in una scena tratta da Il cammino nella notte
Conrad Veidt in una scena tratta da Il cammino nella notte

Nei tumulti della Germania di Weimar, Il cammino nella notte fu opera ibrida che si collocò a metà strada tra gli stilemi espressionistici e quelli del kammerspiel. Il soggetto della scrittrice danese Harriet Bloch, in nulla dissimile da un classico melodramma, divenne materiale magnetico e oscuro grazie al filtro esercitato dal duo Mayer-Murnau. Meno allucinata la recitazione e meno distorte le scenografie rispetto al Caligari, ma anche maggiore il distacco rispetto alle spinte sociali e al dolente realismo della Nuova oggettività (Neue Sachlichkeit), altra corrente a fare la fortuna del cinema tedesco dopo la Prima guerra mondiale. Di contro, una macchina da presa indipendente e spesso molto libera di indugiare sui volti dei pochissimi personaggi nel pieno rispetto del kammerspiel, rispetto al quale veniva meno il principio di unità di tempo, luogo e azione.

I richiami espressionisti de Il cammino nella notte
I richiami espressionisti de Il cammino nella notte

La totale dedizione alla sua arte, ai suoi quadri in movimento, alle sue composizioni e alle sue iconografie, mi suggeriscono un Murnau gemellato alle disposizioni estetiche/estatiche di un Tarkovskji, certo diversissimo nella poetica e nel gusto, ma intento ad abbeverarsi alla stessa fonte. Magari Friedrich non pregava come Andrej, mentre girava. Ma furono le medesime, impalpabili regioni dell’ineffabile, le stesse intangibili brume spirituali – da intendere in senso più lato possibile – che le loro cineprese tentarono di fendere. L’uno verso la luce della beatitudine, l’altro verso le tenebre del perturbante e del fantasmatico. Diametralmente opposti per un verso, eppure bramosi di ampliare l’esperienza del visibile verso quell’“oltre” al quale solo il cinema avrebbe potuto ambire. La Joe di Nymph()maniac avrebbe detto: «Forse la differenza tra me e le altre persone è che ho sempre chiesto di più al tramonto. I più spettacolari colori, quando il sole incontra l’orizzonte». Sulla soglia dell’aldilà, Murnau scelse di procedere verso l’oscurità, ma seguendo strade del tutto peculiari.

Il punto di vista femminile

Anche ne Il cammino nella notte Murnau accorda un’importanza capitale allo sguardo femminile. Come un buco nero è in grado di calamitare qualsiasi cosa passi nei suoi pressi, alterandone a un tempo sia il punto di vista che la percezione, così l’ocularizzazione femminile offre varchi privilegiati attraverso i quali comprendere in una nuova luce – più profonda e autentica, a tratti più che perturbante – la storia e i singoli personaggi. In questo caso il punto di vista interno è sin dall’inizio tutto al femminile: nonostante arda di passione per il compagno, il dottor Eigil Boerne, la disgraziata Helene evita di manifestargli il suo tormento (molto fisico, oltre che sentimentale) pur di non pregiudicarne l’affermazione professionale.

Una scena tratta da Il cammino nella notte
Una scena tratta da Il cammino nella notte

Il desiderio, misto a un certo pietismo e a una svenevole iper-sensibilità, è lo stesso che lega Helene alla Ellen di Nosferatu: entrambe sono donne legate a uomini simili a burattini, mossi da quel coercitivo desiderio di successo che, sebbene non perfido o malizioso in sé, fa da ideale prodromo dell’ossessione e di una certa hybris – anch’essa, non necessariamente malevola – del Faust. Nella migliore tradizione – questa sì – espressionista, Helene si presenta come il doppio della Ellen Hutter di Nosferatu. Considerare i due film strettamente legati non significa svilire Il cammino nella notte a pedissequo anticipatore della pellicola del 1922, ma solo evidenziare i rimandi interni di due opere dopotutto cronologicamente molto prossime.

La donna di Murnau: una corda tesa tra le tenebre e le luci
La donna di Murnau: una corda tesa tra le tenebre e le luci

Queste due figure fungono un po’ da contraltare rispetto alle altre donne dell’universo murnauiano noto. Sono più scaltre e smaliziate le figure femminili del monco Marizza, de La terra che brucia (1922) o dello stesso Fantasma (1922), giusto per rimanere alla produzione tedesca di un Murnau non ancora cineasta di fama mondiale. In ogni caso, sono sempre, immancabilmente le donne a porsi come soggetti più attivi e soprattutto ricettivi. Non di rado scenicamente immobili, a dispetto di un profilmico che le vede spesso intrappolate in una scena che a fatica le ingabbia, costoro non sono mai inerti traguardi da raggiungere o vette da conquistare. La presenza femminile, quasi sempre, squarcia il velo della prevedibilità melodrammatica, fungendo da catalizzatore fantasmatico.

La donna fantasmatica

Esiste all’interno de Il cammino nella notte un’altra figura femminile che è sintomatica della variante più espressionista della poetica murnauiana. Si tratta della maldestra ballerina Lily, colei che con l’inganno riesce a strappare dalle braccia della povera Helene l’amato dottor Eigil. È questa figura a personificare però anche molto altro rispetto ai personaggi disegnati da Murnau, i quali, uomini o donne che siano, finiscono spesso vittime dell’ineluttabilità del destino tragico e romantico. Se in questo riguardo Lily è piuttosto ordinaria, è in relazione alla Ellen del Nosferatu che bisogna guardare per coglierne ogni più recondita specificità. Lily è anzitutto colei che con la sua malizia tentatrice incarna (il fantasma del)la doppiezza dell’animo umano, quella componente sensuale e pulsionale che Eigil sa di possedere, ma che almeno inizialmente non vuole concedersi, impermeabile ai divertimenti dello spettacolo e indisponibile alla lussuria. «Non è vero che non vuoi vedermi di nuovo», sussurra sorniona Lily nello studio di Eigil, mentre questi, fin troppo tribolato alla sua vista, cerca di darle le spalle. «Perché non mi guardi? Guardami!» gli intima poi, sfiorandolo, come obbligandolo a riconoscere ciò che non vorrebbe. Lily, apparizione fantasmatica, costituisce per Eigil l’ineluttabile tentazione del male: il dottore non può che cedere (a sé stesso), firmando la propria condanna a morte.

Una scena tratta da Il cammino nella notte
Una scena tratta da Il cammino nella notte

Attuato il suo inganno, e sottratto a Helene il suo uomo, Lily sconterà come (quasi) tutti la sua colpa cadendo ella stessa vittima del destino che si ritorce contro di lei. Non prima, però, di aver tentato di mettere in guardia Eigil. Come la Ellen di Nosferatu, Lily è l’oblò che separa l’uomo dalla perdizione, fornendogli la provvidenziale (sebbene inspiegabile, nonché inutile) premonizione. Alla vista del pittore cieco senza nome che abita nel loro stesso paese, Eigil è predato da una certa forma di hybris, imparentata con la leggerezza con la quale Thomas Hutter, per il vil denaro, si reca presso il conte Orlok. Come Ellen prega il marito di non recarsi presso il castello maledetto, Lily supplica il suo dottore di non lasciare che il paziente cieco entri in casa loro. Ma ormai è troppo tardi.

La necessità del male naturale e la luce oscura

Addentrandosi ulteriormente nei tempi diegetici, risulta una coincidenza quantomeno curiosa tra Il cammino nella notte e Nosferatu: il “male” invade gli spazi esattamente alle sei del mattino. È a quell’ora, infatti, che il pittore cieco fa per la prima volta il suo ingresso nel nido d’amore di Eigil e Lily, ed è sempre a quell’ora che Orlok appare al terrorizzato a Thomas Hutter nei panni di Nosferatu. Le forze sinistre, le spinte distruttive o comunque destabilizzanti, al di là della loro concreta figurazione nei personaggi del cieco e in quella Orlok, filtrano come acque reflue sul terreno arido. Inarrestabili, imperturbabili, inconsapevoli e soprattutto ineluttabili, quasi che gli esseri umani che le incubano non siano capaci di opporvi resistenza. Si tratta di forze scaturenti da altre logiche o da volontà imperscrutabili. Come le tenebre devono seguire – o precedere – la luce, così queste forze non possono esimersi dal compiere se stesse e il proprio destino, obbedendo a un disegno che ne permea ogni fibra di necessaria ineluttabilità.

Uno dei tanti inserti paesaggistici minacciosi de Il cammino nella notte
Uno dei tanti inserti paesaggistici minacciosi de Il cammino nella notte

Si inscrive in questo ambito il montaggio di Murnau, che unisce precisione architettonica e dirompenza poetica. Gli inserti paesaggistici non servono a spezzare o diluire la continuità narrativa, al contrario: esasperano inesorabilmente il climax dell’ineludibilità. Le rive del paese nel quale vanno a convivere Eigil e Lily appaiono inizialmente calme, lambite dolcemente da pacifiche acque che si specchiano in un cielo sereno. Quelle stesse acque, che accompagnano placidamente l’ingresso in scena del pittore sulla barca, diventano via via più tumultuose man mano che lo stesso si appresta a entrare in casa di Eigil. Fa da contrappunto il crescendo del vento, implacabile. Che squassa con violenza le coste. Che ingrossa le onde. Che si avvicina minaccioso fino a spalancare le finestre della stanza da letto di Lily, ormai preda delle forze oscure.

Una scena tratta da Il cammino nella notte
Una scena tratta da Il cammino nella notte

Debitore – ma non imitatore – del paesaggismo nordico, Murnau ne assimila la lezione e rilancia. Non già limitandosi a fotografare meri luoghi a corredo della vicenda umana, ma facendo delle forze della natura agenti attivi nel racconto. Rendendole partecipi nel processo di naturalizzazione e normalizzazione dell’oscuro. Che, sottratto al regno del fantasmagorico, diventa per ciò stesso parte integrante (e ancor più inquietante) dell’Essere, compreso quello umano (di nuovo il topos del doppio). Dove la montagna e le nevi de I proscritti (Sjöström, 1918) si ergono a verticali e silenti ritiri, il vento e le acque de Il cammino nella notte portano la sciagura penetrando orizzontalmente nel dominio umano, risvegliandone il lato più oscuro, pulsionale, recondito. Naturalizzare il male: ecco il lato più spaventoso del Murnau “espressionista”. Mostrare l’oscuro nella sua tremenda, naturale consustanzialità alla luce.

L'utilizzo del negativo in Nosferatu
L’utilizzo del negativo in Nosferatu

Come il negativo sta alla fotografia, essendo parte di essa, Murnau utilizza proprio il negativo della pellicola per fotografare l’avvicinamento della carrozza di Hutter al catello di Nosferatu: «Quando avevo dieci anni ho scoperto che attraverso il negativo vedi la vera qualità demoniaca insita nella luce. La luce oscura.» No, non è una frase del compianto Murnau, ma di Lars von Trier (La casa di Jack, 2018). Adesso, seguendo il loro esempio, occorre addentrarsi nel più segreto dei meandri del cinema. Quello in cui occorre aguzzare la vista e abbandonarsi al desiderio dell’oscuro. In fondo, è solo dall’altra parte della luce.

Il desiderio inconfessabile: il segreto è nel montaggio

Nella precisissima partitura scenografica di Murnau nulla viene mai lasciato al caso. Nemmeno il primo ingresso in scena. Tanto il cieco de Il cammino nella notte quanto il conte Orlok fanno il loro sinistro esordio in un’inquadratura quasi claustrofobica, soffocata da chiavi di volta che ne sovrastano, amplificandole, le figure (nel primo caso la chiave di un ponte, nel secondo quella del castello). Questa mossa, che impedisce allo sguardo dello spettatore e ai protagonisti qualsiasi punto di fuga – sia esso visuale/visibile, emotivo o psichico – rientra nel rigore spaziale murnauiano, frutto di meticolosa e quasi matematica precisione. L’invasione delle forze sinistre e oscure non è affare che rientra nelle disponibilità umane. Lo sanno bene – ancora una volta – le figure femminili, che presagiscono la sciagura e tentano invano di mettere in guardia i propri uomini. Lo fa Lily, cercando di dissuadere Eigil dall’accogliere in casa il cieco appena operato agli occhi. Lo fa Ellen, che cerca di impedire all’amato Hutter di recarsi presso il conte Orlok.

L'ingresso in scena del pittore ne Il cammino nella notte
L’ingresso in scena del pittore ne Il cammino nella notte

Eppure, ironia della sorte, sono proprio queste due donne le incubatrici di una logica ambivalente: da un lato l’orrore verso il perturbante; dall’altro il conato verso l’oscurità. Senza dilungarsi su scivolosissimi terreni psicanalitici, basterà solo ricordare la riflessione freudiana sull’ambivalenza del perturbante, a un tempo oggetto di repulsione ma anche di irresistibile attrazione. È forse alla luce di queste considerazioni che certe soluzioni di montaggio de Il cammino nella notte assumono una valenza paradigmatica della (e nella) poetica di Murnau. L’invasione delle forze oscure, qui personificata dal pittore operato da Eigil, è sì fisica e spaziale, ma anche e soprattutto emotiva e psichica. E, psichicamente, si traduce in un legame tra donna e pittore restituito dal montaggio alternato. È infatti quasi alla metà del film che il dottor Eigil, dopo aver operato il suo paziente, si china prima verso la destra dello schermo per baciare Lily, e poi – dopo l’inserto di un cielo gravido di nubi e sventure – verso la sinistra, per vegliare sul degente. La rima è quasi perfetta. E anticipa, chiarendola, la scena di qualche secondo più avanti, quando, nuovamente grazie al montaggio, è la stessa Lily che avvolta dalla semi-oscurità di casa sua, volge verso la sinistra dello schermo totalmente buia, dove qualche secondo prima lo stesso pittore giaceva bendato. Per quanto avesse cercato di resistere, la spinta pulsionale l’aveva ormai vinta.

Una scena tratta da Il cammino nella notte
Una scena tratta da Il cammino nella notte

Il cammino nella notte anticipava così una soluzione semanticamente identica nel Nosferatu, dove Ellen, in preda al delirio, volgeva le sue mani solo idealmente verso l’amato Hutter appena vampirizzato. Abbattendo le distanze emotive e fisiche, il montaggio di Murnau faceva sì che in realtà Ellen tendesse le sue braccia proprio verso Orlok/Nosferatu, che infatti verso di lei sembrava volgere lo sguardo. Per questo, e per molti altri motivi, la figura di F. W. Murnau si staglia ancora oggi, a un secolo di distanza, nel firmamento dei più grandi registi di tutta la storia del cinema. Un uomo in grado di meravigliare e terrorizzare con poco, pochissimo. In grado di riflettere con incredibile acume non solo sui più fondamentali temi del suo tempo, ma anche sui più inestricabili interrogativi dell’uomo. Restituendoli, scenicamente, in modo terribile e sublime.

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1 Comment

1 Comment

  1. Giuseppe Piazza

    21 Febbraio 2021 at 18:17

    Vito studia sempre e ottiene ottimi riscontri sulla critica cinematografica. Complimenti.

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