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Anche i nani hanno cominciato da piccoli

Anniversari

Anche i nani hanno cominciato da piccoli, cinquant’anni dopo

Usciva cinquant’anni fa Anche i nani hanno cominciato da piccoli, una delle opere più cupe e disturbanti di Werner Herzog

Tempo di lettura: 9 minuti

Usciva cinquant’anni fa Anche i nani hanno cominciato da piccoli, il secondo lungometraggio di Werner Herzog, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes nel 1970. L’allora ventottenne regista si presentava sulla Croisette con una parabola spietata, cupa, cinica e nichilistica, riuscendo a scontentare critica e pubblico e attirandosi le ire della sinistra internazionale. Ad oggi, uno dei film più controversi e perturbanti della sua intera filmografia. Conscio di addentrarmi in un universo fatto di poche parole e spiegazioni, proverò a sondare il film alla luce delle dichiarazioni del regista e di quelle che sono poi diventate le linee guida di un discorso poetico a tratti insondabile.

UN’ALLEGORIA CHE HA SCONTETATO QUASI TUTTI

Girato tra il 1968 e il 1969, Anche i nani hanno cominciato da piccoli vide la luce all’indomani di quella rivolta studentesca che era stata capace persino di bloccare la ventunesima edizione del Festival di Cannes. Curioso, quantomeno, il fatto che proprio i disordini del maggio del ’68 avessero portato alla nascita della Quinzaine des Réalisateurs, che dall’anno successivo avrebbe accolto i lavori di molti promettenti registi di ogni parte del mondo, compresa l’opera di Herzog.

Una scena tratta da Anche i nani hanno cominciato da piccoli
Una scena tratta da Anche i nani hanno cominciato da piccoli

Era facile intuire che in un clima di «inevitabile rivoluzione mondiale» (per citare le parole del regista) un film su una fallita rivolta di un gruppo di nani all’interno di un non meglio identificato istituto correttivo potesse generare malcontenti. Sebbene Herzog abbia sempre ribadito di non aver mai pensato al suo cinema come arma politica, e nonostante sia stato talvolta equivoco sul legame con la rivoluzione sessantottina (che ha comunque ammesso di non aver appoggiato), è certo che Anche i nani hanno cominciato da piccoli venne accompagnato – forse un po’ troppo sbrigativamente – dal marchio d’infamia di “film fascista”, per il semplice fatto di non mostrare come vincente una rivolta.

I nani prendono possesso dell'istituto in Anche i nani hanno cominciato da piccoli
I nani prendono possesso dell’istituto in Anche i nani hanno cominciato da piccoli

L’estraneità connaturata in Herzog lo rendeva in parte alieno anche rispetto ai giovani cineasti del Nuovo Cinema Tedesco. Animati da un sano istinto ribelle nei confronti di una politica produttiva e distributiva ritenuta obsoleta, quando non eccessivamente prona ai canoni hollywoodiani, ventisei registi firmarono nel 1962 il Manifesto di Oberhausen, che avrebbe dovuto segnare la rinascita del cinema teutonico. Herzog non compariva tra i firmatari, e se il suo nome venne in seguito accostato ad alcuni nomi dei suoi più noti rappresentanti (su tutti, l’amico Fassbinder e lo stimato Wenders), fu solo per ragioni “cronologiche” di contemporaneità, non in virtù di un’inesistente parentela tematico-strutturale delle opere.

I nani ciechi ed armati di bastone in Anche i nani hanno cominciato da piccoli
I nani ciechi ed armati di bastone in Anche i nani hanno cominciato da piccoli

Ciò che accomunava davvero quell’eterogeneo gruppo di registi della prima generazione postbellica, e che coinvolse totalmente Herzog, era la sensazione di dover dare nuova linfa al cinema tedesco. Anche a costo di recarsi nelle zone più impervie del pianeta; anche al prezzo di storie e tematiche scomode, (apparentemente) sgradevoli, se non altro – per mero contrasto – rispetto all’industria delle major americane. Anche in quel contesto, come sempre, Herzog costituì una specie di universo a sé stante. Autonomo, solitario, autarchico, appartato. Già estremamente maturo per i suoi anni. E soprattutto, già molto sofferente.

LA NEBULOSA DI HERZOG E LA CONCRETIZZAZIONE DI UN INCUBO

Tentare di penetrare in un qualsiasi film di Herzog equivale a cercare di fendere una nebulosa compatta, misteriosa e autoregolantesi. E questo non solo in virtù della storica ritrosia del regista a fornire spunti ermeneutici extra-testuali. Il film è tutto lì – sembra dirci Werner – e il solo compito che abbiamo è quello di lasciarci guidare dalla storia, anziché sondare eventuali sovrastrutture o sottotesti più o meno latenti. Nessuna filosofia, nessuna politica, nessun “tema”: solo un insieme di avvenimenti, poiché, secondo il nostro, il cinema non è l’arte degli eruditi ma quella degli illetterati.

Hombre tenta invano di salire sul letto, in una scena tratta da Anche i nani hanno cominciato da piccoli
Hombre tenta invano di salire sul letto, in una scena tratta da Anche i nani hanno cominciato da piccoli

Risalire lungo il fiume della genesi di Anche i nani hanno cominciato da piccoli impone una prima, necessaria operazione metodologica, che credo debba condurre alla parabola biografica del suo autore. Tra il 1969 e il 1971 Herzog aveva viaggiato nel continente africano, e in quelle terre aveva realizzato quella sorta di trilogia africana, che oltre ai Nani, comprendeva anche il documentario I medici volanti dell’Africa Orientale (1969) e Fata Morgana, i cui materiali, sebbene fossero stati prodotti per primi, videro luce solo nel 1971. Le riprese di Fata Morgana avevano costituito una prova durissima per Herzog. Erano stati mesi terribili quelli passati nel deserto del Sahara meridionale, e le innumerevoli difficoltà erano state sia di ordine tecnico (il timore di bruciare la pellicola; la necessità di passare ore sotto il sole cocente a spianare il terreno, purché risultasse una carrellata dignitosa) che logistico (una troupe ridotta a soli due elementi, più il regista; scarsissime disponibilità economiche; qualche arresto occasionale). Eppure l’Africa continuava ad esercitare sul giovanissimo regista un irresistibile fascino primordiale, pari, forse, all’antico, umano terrore che ha provato l’Uomo nel mezzo del nulla.

L'assalto all'istituto in Anche i nani hanno cominciato da piccoli
L’assalto all’istituto in Anche i nani hanno cominciato da piccoli

Con parecchio girato, ma senza alcuna garanzia di avere a disposizione del buon materiale, Herzog si mise alla macchina da scrivere e in meno di una settimana, di getto, riversò sulla carta tutti i traumi, le paure, le frustrazioni e le inquietudini provate in quei mesi. Fu così che nacque la sceneggiatura di Anche i nani hanno cominciato da piccoli, e le location non avrebbero potuto che essere africane. La scelta cadde sull’isola di Lanzarote, nelle Canarie; Herzog seguitava non solo nell’isolamento artistico, ma anche in quello più squisitamente produttivo, scegliendo ancora un’isola dopo quella greca di Coo che aveva ospitato le riprese del suo primo film, Segni di vita (1968). Il film nacque all’insegna dell’impeto personale e fu figlio di un’urgenza artistica che, pur concretizzando gli incubi dell’autore, restava formalmente molto disciplinata e compatta, dato che nel copione iniziale non c’erano più di cinque errori di battitura. Una volta messo su carta, l’incubo doveva solo trovare i propri degni interpreti.

I NANI DI BROWNING E QUELLO DENTRO HERZOG

È difficile non rintracciare qualche similitudine con Freaks (1932) di Todd Browning, che pure Herzog sostiene di non aver voluto nemmeno omaggiare. Protagonisti a parte, anche la struttura narrativa che consta di un lunghissimo flashback e il tema della “rivolta” sono due elementi comuni di non poco conto. Browning, in un’opera intrinsecamente liminale, incentrava la propria riflessione a partire dal confine tra normalità e mostruosità, da un lato rivelandone l’infondatezza dei presupposti biologici e corporali, dall’altro non rinunciando (almeno nella versione non censurata) all’elemento orrorifico dell’esibizione della bestialità dei freaks, qualora ingiustamente vessati.

Una scena tratta da Anche i nani hanno cominciato da piccoli
Una scena tratta da Anche i nani hanno cominciato da piccoli

Dal canto suo, Herzog optava per una radicalizzazione che recideva ogni inclinazione liminale, ad esempio popolando tutta l’opera di nani, così da rendere praticamente indistinguibile e quindi vano ogni tentativo di rintracciare un (qualunque) confine. Nel microcosmo dell’istituto correttivo non c’è quasi nulla che non sia pensato e filmato ad altezza-nano, e la macchina da presa che alterna inquadrature a mezz’altezza e ad altitudini più canoniche (con annessi sguardi in macchina dei protagonisti) lascia quasi intravedere il futuro oscillamento del regista tra opere di finzione e documentari, talvolta difficilmente distinguibili gli uni dagli altri.

Nel caso di Anche i nani hanno cominciato da piccoli assumere la prospettiva dei nani non costituiva solo un vezzo estetico, né un omaggio ai tanti uomini in miniatura che popolavano le fiabe tedesche: tutto – come sempre accade, in Herzog – andava ricondotto all’alveo dell’intuizione autoriale. La scelta si riallacciava alla convinzione per la quale tutti gli uomini custodiscono un nano al proprio interno, perfettamente fedele all’involucro umano esterno e sempre urlante, alla disperata ricerca del modo di uscire allo scoperto. Dall’intangibile al concreto, l’intuizione trovava concretezza in un profilmico dalla valenza ancora una volta allegorica, sebbene non appiattita sulla lettura sessantottina.

Una scena tratta da Anche i nani hanno cominciato da piccoli
Una scena tratta da Anche i nani hanno cominciato da piccoli

L’esclusiva presenza dei nani poteva così rispecchiare l’intera umanità, “metricamente” difforme ma ugualmente smarrita, inadeguata, impotente di fronte alla sproporzionata vastità di fenomeni socio-economici mondiali individualmente incontrollabili. Ecco spiegato il senso di una scena a suo modo struggente, come quella in cui una nana tenta di raggiungere la maniglia di una porta, nel vano tentativo di aprirla per recuperare una scarpa lasciata all’interno dell’edificio.

L’ETERNO GIOCO PERVERSO DELLA NATURA

Sarebbe impossibile rendere conto in poche righe dell’aria sinistra, grottesca e surreale che si respira dall’inizio alla fine dei novantacinque minuti di durata del film. La dinamica instaurata con lo spettatore ha i caratteri del gioco perverso: mostra piccole e grandi violenze, meschinità e soprusi, e lo fa attraverso immagini che talvolta strappano qualcosa in più di un sorriso. Inutile negarlo: suscitano ilarità anche perché a perpetrare le violenze sono proprio i nani, che hanno appunto cominciato esattamente come noi – come tutti – a non reprimere più la loro parte naturale, quella animale. Le vessazioni riposano su uno iato che è esso stesso fonte d’ilarità: sembra tutto un gioco infantile, ma di certo si tratta di scherzi estremamente seri e violenti. Visione e sentimento procedono su due binari separati: se la prima sorride, il secondo riflette sull’atrocità della rappresentazione.

Anche i polli se la prendono con i loro esemplari più deboli in Anche i nani hanno cominciato da piccoli
Anche i polli se la prendono con i loro esemplari più deboli in Anche i nani hanno cominciato da piccoli

Hombre (Döring) e i suoi accoliti sono la quintessenza degli antieroi herzoghiani a venire: solitari e isolati, non di rado temibili e capaci di arrecare danno agli altri e – in modo più o meno diretto – anche a se stessi. I nani si ribellano a un nano (che, si badi bene, non è il direttore, e che quindi a rigor di logica dovrebbe avere poco a che vedere col malcontento dei ribelli: un’altra frecciata al movimento sessantottino?); vessano altri nani, sia i più deboli (Hombre e la sua consorte “designata” sono i più minuti tra i minuti) sia i tarati (i due ciechi, spinti poi a un combattimento quasi fratricida). Costoro non differiscono in nulla dai polli e dalle galline dell’istituto, spesso intenti a beccare gli esemplari più deboli o malformati tra di loro, e con i pennuti morti ridotti a oggetto di cannibalismo.

Una delle scene sul furgoncino che gira all'infinito in Anche i nani hanno cominciato da piccoli
Una delle scene sul furgoncino che gira all’infinito in Anche i nani hanno cominciato da piccoli

La legge di natura alla quale i viventi restano assoggettati sono impietose ed eque, inflessibili e inderogabili. Questa legge che tutto abbraccia e governa, e che tanto aveva afflitto Herzog nel deserto, si traduce tra le mura dell’istituto nel perenne moto circolare del furgoncino del quale i nani si impossessano e che cavalcano a mo’ di gioco. Le violenze si susseguono in un climax tragicomico, non ne escono indenni né il regno vegetale (i vasi dati alle fiamme) né quello (non ancora) animale, con le uova delle galline scaraventate a terra per chissà quale motivo. Ogni cosa è ridotta a mero simulacro, compresa l’iconoclastica crocifissione della scimmia nelle scene finali che tante ire ha scatenato da parte degli animalisti.

SULLA SOGLIA DELL’ABISSO

Anche i nani hanno cominciato da piccoli è un’opera che non ha perso nemmeno un grammo della sua carica gioiosamente angosciante. È questa tensione discordante, forse, a descrivere il film meglio di ogni fallace tentativo di razionalizzazione. Su quel set la differenza la fece con ogni probabilità il rapporto instaurato da Herzog con i suoi attori non professionisti. I nani, forse per la prima volta, non venivano trattati come fenomeni da baraccone ma come individui qualunque, dai quali ci si aspettava una serie di prestazioni anche a costo dell’incolumità fisica. Ecco il motivo del celeberrimo salto nei cactus, che ha visto il regista gettarsi fisicamente tra le spine pur di adempiere ad una promessa fatta al cast qualora tutti fossero usciti incolumi dalle riprese.

Una scena tratta da Anche i nani hanno cominciato da piccoli
Una scena tratta da Anche i nani hanno cominciato da piccoli

La risata di Hombre, del resto, è l’unica vera costante di tutto il film, lo accompagna e lo chiude. In fin dei conti, sebbene la rivolta fosse stata sedata e il furgoncino del tempo continuasse a ruotare su se stesso, ciò che sarebbe rimasto impresso nella memoria dei personaggi sarebbe stato almeno il ricordo di un giorno memorabile, quello del sovvertimento delle regole. Ecco il senso dell’ultima, diabolica risata di chiusura, con il piccolo Döring incitato a ridere fin quasi a soffocare, e con la scena che non venne tagliata nemmeno quando sui suoi colpi di tosse il dromedario iniziò a defecare. Ridere e sorridere, sempre e comunque. Cosa fare, del resto – per citare le considerazioni del regista –, quando la civiltà è un sottile strato di ghiaccio sopra un oceano profondo di caos e tenebre?

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