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Asteroid City

Cinema

Asteroid City e l’immutabile cifra stilistica di uno dei registi più apprezzati del secolo

Tempo di lettura: 5 minuti

E’ in arrivo nelle sale cinematografiche il 14 settembre Asteroid City, l’undicesimo lungometraggio del regista texano Wes Anderson, film che dimostra essere – come del resto tutti quanti avevamo comunque già ipotizzato – una coerente continuazione della corrente filmica da lui individuata e scelta come prototipo predefinito, quella della ratio simmetrica e del trionfo abbacinante delle tinte pastello.

Tagliamo la testa al toro sin da subito e confermiamo che Asteroid City è un film con un all star cast: Scarlett Johansson, Willem Dafoe, Jeffrey Wright, Edward Norton, Adrien Brody, Tom Hanks, sono solo una parte dei big del cinema che hanno partecipato al progetto di Anderson, alcuni dei quali anche di sfuggita, marginalmente, senza sostare troppo sul grande schermo. Non è di certo una novità che il regista ami rimpolpare le sue pellicole di grandi nomi, attori feticcio che si porta dietro dal lontano 1998 con Rushmore e la cui rosa, come in un climax ascendente, si è ampliata notevolmente fino a The French Dispatch. Con Asteroid City riesce addirittura a superare sé stesso: raduna il non plus ultra hollywoodiano e dà vita ad un film dall’impronta corale che forse sì, talvolta straborda eccessivamente di contenuti, ma non lo fa mai con cattive intenzioni da prodotto egoriferito.

Asteroid City

L’artista vedovo, i figli orfani, l’attrice insoddisfatta ed infelice, lo scrittore tormentato, il regista smarrito, il padre intransigente ed anaffettivo, il suocero distaccato ed incapace di comprendere le sfumature emotive di cognato e nipoti, la maestra desiderosa d’Amore ma troppo orgogliosa per poterlo ammettere, è la casistica umana variegata, imperfetta e contorta messa in scena ed incorniciata da una folkloristica quanto desolata cittadina scelta come location per il conferimento di un’importante borsa di studio e caratterizzata da periodici e segretissimi test atomici, incontri ravvicinati del terzo tipo e macchinette in cui è possibile comprare di tutto, dai Martini serviti direttamente in doppia coppetta agli appezzamenti di terreno.

Sembra che il fine ultimo di questo certosino lavoro di impaginazione sociale sia null’altro che quello di consentire allo spettatore di potersi, in un modo o in un altro, rivedere in almeno una delle rappresentazioni sentimentali in cui i personaggi di Asteroid City vengono declinati: un modo per autorizzarlo indirettamente a sentirsi tassello di un puzzle invisibile, di compartecipare all’opera stessa, di percepirsi più vicino alla macchina da presa di quanto non lo sia stato effettivamente e realmente nella fase di evoluzione del film.

Asteroid City

L’aspetto forse più particolare e degno di nota è che, al contrario di quanto lasciano immaginare i colori vivi(di) e corroboranti della scenografia – il grande ed insostituibile marchio di fabbrica del cinema wesandersonianole storie di vita dei protagonisti non sono tutte rosa e fiori e non hanno di certo andamento lineare; sono al contrario geometrie irregolari e frastagliatissime, costantemente spezzate da lutti, assenze, disillusioni, tristezze assai spesso pensate come inguaribili. Potremmo apostrofarlo come un carousel dolceamaro, una tenerissima retorica della contraddizione, in cui coabitano, in una modalità inspiegabilmente armoniosa, il bello ed il brutto, le luci e le ombre, le inclinazioni sentimentali spudorate e l’epidermico bisogno di autotutela.

Accompagnati fedelmente da una saudade spirituale, le vicende dei protagonisti, in gran parte intrecciate le une alle altre, ci spingono però silentemente anche a porci qualche interrogativo, dalla cui creazione il regista non si è mai sottratto, nè a questo giro di boa nè a quelli precedenti. Siamo dinanzi ad una possibile invasione aliena ed una conseguente terza guerra mondiale: viene decretata una quarantena preventiva ed il mondo potrebbe sprofondare, in una manciata di secondi, in un caos primordiale, ma nessuno dei protagonisti sembra dare attenzione a come le cose ad Asteroid City potrebbero evolversi. Tutti concentrati su sé stessi, sui propri drammi familiari ed amorosi, ciò che accade al di fuori sembra essere nulla per cui vale la pena guardare oltre la punta del proprio naso.

Asteroid City

I personaggi di Asteroid City hanno bisogno di credere che tutto riuscirà, in qualche modo, a tornare al proprio posto, e non importa se per crederci davvero in questo happy ending è necessario creare una realtà alternativa fatta di attenuazioni sentimentali e smorzamento feroce di tutto ciò che viene classificato come “problema”. E’ l’hic et nunc che conta, ai grattacapi ci si penserà poi domani. Ma è così che vogliamo condurre la nostra vita, semplicemente galleggiando in un mare di indifferenza ed egoismo, incapaci di dare la giusta importanza a ciò che accade attorno a noi? è quello su cui, forse, ci chiede di riflettere la pellicola. Ai posteri l’ardua sentenza, o forse solo l’interpretazione di essa: ad un tratto, infatti, all’unisono ed in preda ad un sonnambulismo catatonico, tutti i numerosi protagonisti intonano come un mantra “Non puoi svegliarti, se prima non ti sei addormentato”, quasi a voler dimostrare che l’errore è il solo modo per imboccare alla fine la retta via.

Asteroid City si conclude esattamente così com’è iniziato, con il chiasso assordante dell’inseguimento di una volante della polizia ed il boato di un test atomico, l’ennesimo, il cui grigiore dei suoi nefasti frutti si staglia in lontananza, sullo sfondo di un desert landscape immaginifico e favolistico. Perché, in fin dei conti, Wes Anderson è un po’ questo: un produttore seriale di favole di qualità. Se con The French Dispatch ha omaggiato il mondo del giornalismo, Asteroid City celebra invece il teatro dando vita ad un film che racconta di una sceneggiatura teatrale, una matrioska tematica che un po’ fa impazzire – con l’abbattimento della quarta parete – e un po’ fa mantenere l’attenzione dello spettatore sempre vigile, attiva.

Asteroid City

Gli elementi della sua cifra stilistica, ci sono tutti: dalle tinte pastello di cui prima – che si alternano sapientemente a scene girate completamente in b&w -, alla ripresa continua, alle brevi scene in stop motion di un alieno carino e simpatico, tutt’altro che preoccupante. Potremmo definire, proprio per questo, Asteroid City come una sorta di testamento cinematografico, ma tanto si sa: Wes Anderson tornerà ancora e, nonostante quella che non possiamo non apostrofare come “prevedibilità artistica”, ci sorprenderà, ancora.

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