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Il cast di The French Dispatch

Cinema

The French Dispatch e la disciplina armonica di Wes Anderson

In programma a Cannes 2020 ma presentato in concorso solo quest’anno, The French Dispatch approda al cinema da giovedì 11 novembre, pronto a farsi perdonare la sfibrante (quanto involontaria) attesa di quasi due anni.

Tempo di lettura: 6 minuti

The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun – anche più semplicemente conosciuto come The French Dispatch è l’ultimo film di Wes Anderson, ma solo cronologicamente parlando, perché il primo – e dunque il migliore – di tutti i suoi dieci lungometraggi in quanto a ricercatezza formale.
Il film è una ricapitolazione del suo cinema decostruttivista, uno slancio di autoreferenza artistica che, completamente avulso da fini didattici, racconta la complessità della vita in maniera audacemente semplice al solo scopo divulgativo – lasciando scegliere allo spettatore cosa e quanto portare a casa con sé.

The French Dispatch

Dalla carta stampata alla concretezza visiva

Per capire cosa The French Dispatch è (ma anche cosa non è e non vuol essere) è bene partire dalla struttura della pellicola, un racconto antologico che riporta sullo schermo la stesura di quattro articoli – accompagnati da voiceover – da parte di una piccola quanto altrettanto vivace redazione di un periodico di cronaca e cultura – l’omonimo del titolo – supplemento settimanale dell’Evening Sun, quotidiano statunitense di Liberty, Kansas. Come dichiarato dallo stesso regista, il film è un ossequioso e silente tributo al The New Yorker (rivista da lui ampiamente letta e collezionata) e ispirato ad alcuni suoi giornalisti ed articoli pubblicati. La matrice tematica attinge così dalla realtà tangibile, ma si colora subito di quella visionaria astrattezza che caratterizza da sempre il cinema wesandersoniano, strabordante di spirito naïf e candore immacolato.

Il soggetto, scritto a sei mani insieme al regista Roman Coppola e all’attore Jason Schwartzman, si sgancia dalla sua genesi reale e proietta la storia in un contesto immaginario ed immaginifico, la cittadina francese di Ennui-sur-Blasé, la cui traduzione, letteralmente Noia-su-Apatia, racconta sin da subito quanto la divulgazione di informazioni, di qualsiasi natura ed entità, fosse fondamentale ad animare una piccola realtà che restava dormiente anche di giorno. Nemmeno la scelta della cornice cronologica – quella della seconda metà del XX secolo – viene lasciata al caso: sono gli anni in cui la televisione non ha ancora iniziato a dominare la vita domestica del singolo, e le edicole, bugigattoli rigurgitanti di tesori, rappresentavano l’unico mezzo di connessione con il mondo.

The French Dispatch

Il giornalismo di cui si parla nel film rifugge il gossip, lo scandalo e la cronaca rosa; non è (ancora) un’attività che cerca a tutti i costi di lucrare sulla sventura e l’insuccesso altrui, ma al contrario ama indagare avidamente l’indole umana, scandagliarla nelle sue più inaccessibili periferie emotive e raccontarla nella sua incontaminatezza primordiale, consentendo al lettore di cercare e trovare il contatto con l’altro anche solo attraverso dieci righe d’inchiostro. E’ così che l’uomo, per Anderson, ha imparato ad accorciare le distanze, a stringere legami e ad annullare le estraneità sociali: con una battitura dattilografata dopo l’altra.
The French Dispatch si configura dunque come elegia melanconica di condizioni ormai lontane e passate, di una purezza d’animo che vedeva nella scrittura il canale preferenziale per elogiare e condividere la bellezza, quando ancora se ne sentiva sinceramente il bisogno.

Il gusto teatrale di The French Dispatch

All’esprit de finesse delle storie raccontate da Anderson si accompagna sempre la cura meticolosa per la composizione spaziale, che nel suo cinema incornicia e valorizza i protagonisti. Gli oggetti di scena (frutto del proverbiale lavoro della props designer Annie Atkins) che rimpolpano le inquadrature iper-simmetriche sono sempre definiti dalla ferrea regola dell’aut aut, con la quale il regista sceglie cosa lasciare completamente alla vista o parzialmente nascosto, ai margini della macchina da presa, ed è forse questa la più grande e stimabile qualità del suo cinema, invogliare lo spettatore a lavorare di fantasia laddove lo spazio visivo si interrompe per ragioni logistiche.

The French Dispatch

I quattro articoli raccontati in The French Dispatch sono connotati, quale più e quale meno, da risvolti penosi e spiacevoli: emarginazione sociale, follia, dipartite improvvise, incomprensione, eppure il film non si presta a ricoprire il ruolo di boccone amaro da ingoiare: perché, dunque, amiamo così tanto il cinema di Wes Anderson e ne siamo attratti? La risposta è da ricercare nella palette dei colori pastello che desatura il forte contenuto cromatico e, al contempo, ovatta la negatività del mondo. Persino la notte, dinanzi alla neutralità dell’arredo giallo della caffetteria, perde i suoi connotati tipicamente drammatici, incoraggiando la sensazione di comfort nello spettatore.

Ma il regista texano con la sua ultima pellicola decide di osare, portando il suo filone creativo all’estremo con un’alternanza sregolata tra il technicolor e il B&W – il cui uso sapiente, nella fotografia cinematografica, accende ed esalta i contrasti, tanto quelli visivi quanto quelli emotivi – e regalando generosamente un’ulteriore tocco di gaiezza con l’inserimento di scene d’animazione in stop-motion, tenero richiamo ai suoi Fantastic Mr. Fox e L’isola dei cani.

Ennui-sur-Blasé è una Wunderkammer cinematografica, una fittizia camera delle meraviglie resa tale ad hoc dallo scenografo Adam Stockhausen (già premio Oscar per Grand Budapest Hotel), dalla set decorator Rena De Angelo e dalle architetture realizzate dal miniaturista Simon Weisse, in cui il lessico evocativo, tra pigioni-manicomio, piazze popolari, caffè letterari e covi di malavitosi riesce a raggiungere l’apice espressivo.

The French Dispatch

La spensieratezza anatomica del personaggio wesandersoniano

Arthur Howitzer Jr., capo-redattore del The French Dispatch, è un uomo morigerato e austero, eppure rispettato da tutti per la sua intramontabile dedizione lavorativa; a Moses Rosenthaler, artista tormentato e pazzo, si perdona facilmente l’aver commesso due omicidi, per il suo geniale estro creativo e la capacità di comunicare le sue emozioni attraverso un’opera d’arte; Zeffirelli, immaturo adolescente pieno di innocenza, ama farsi portavoce della collettività, difendendone a tutti i costi i suoi diritti.

The French Dispatch è un fiabesco campionario di personalità stralunate e peculiari, tanto diverse tra loro per genere, età, occupazione e storia di vita così come tremendamente simili in quanto a disincanto. La loro è una realtà nella quale il brutto non ha spazio alcuno per esistere, e la bellezza risiede esclusivamente nelle piccole cose, in un Manifesto con dedica finale, in un dipinto astratto su di una parete di cemento armato, in una caserma dove uno chef di grande fama mette in atto i suoi giochi di magia culinaria.

The French Dispatch


Tutti sono accomunati da questo sfibrante desiderio di ricerca della verità: non la occultano ma la divulgano, non la dribblano ma la accolgono, non la negano ma la sostengono. E’ una bolla rosa di virtù e valori – ma anche di disillusioni profonde – che li spinge a mostrare di sé sempre e solo la parte migliore, quella che lo spettatore merita di vedere. Primi piani appassionati, intense inquadrature contré-plongée e zoom di avvicinamento, sono questi gli strumenti con i quali Anderson omaggia i suoi personaggi, per esaltarne l’innocenza e la pudicizia di pensiero.

Più di ogni altro, il film è una vera e propria opera corale nella quale ogni personaggio occupa uno spazio predefinito e, per quanto la propria storia si intrecci con quella di altri, difende la propria individualità, restando un micro-cosmo a sé stante: forse è proprio questo il motivo per il quale la combinazione che vede decine tra i volti più noti del cinema dell’ultimo ventennio (come Adrien Brody, Benicio Del Toro, Bill Murray, Frances McDormand, Timothée Chalamet, solo per citarne alcuni) riesce magistralmente, senza risultare farraginosa o eccedente da un punto di vista di quantità.

The French Dispatch

L’estetica del surreale

Quello di Wes Anderson è un cinema riferito esclusivamente a sé stesso, che determina i propri stati internamente, mediante un processo di interazione circolare tra quei marchi di fabbrica che lo costituiscono, e in modo essenzialmente indipendente dall’ambiente esterno. Siamo dinanzi ad opere di euritmia, in cui le pellicole sono frutto di una disposizione armonica e proporzionale delle varie parti: sceneggiatura, scenografia, fotografia, montaggio. Che venga prediletto l’inverosimile, su questo non c’è ombra di dubbio; è tuttavia un inverosimile che mantiene sempre il contatto, seppur invisibile, con la realtà, quella che forse troppe volte risulta sgradevole ai nostri occhi, spingendoci a rifugiarci altrove.

The French Dispatch, pur affrontando attraverso i suoi quattro articoli tematiche scottanti e di una certa entità, non si maschera da protesta o da reclamo; al contrario, diventa espressione di un cinema di evasione che ha solo l’umile desiderio di regalare allo spettatore poche ore di serenità.
I detrattori diranno cliché: l’ennesimo film asettico e vacuo, fedele solo all’estetica e all’armocromia e noncurante dei contenuti. I veri estimatori, invece, accoglieranno il film come un’ulteriore squarcio di approfondimento di un regista che ha tanto da dire, ma sceglie, semplicemente, di farlo in sordina.


The French Dispatch of Liberty, Kansas Evening Sun
trama: Alla morte del capo-redattore Arthur Howitzer Jr., la redazione del The French Dispatch, situata nella cittadina francese di Ennui-sur-Blasé, decide di omaggiarlo ripubblicando i migliori quattro articoli scritti nel corso degli anni dai suoi giornalisti, le cui storie saranno riprodotte visivamente con il supplemento della voiceover di ciascuno dei suoi redattori.
regia: Wes Anderson
sceneggiatura: Wes Anderson
con: Benicio del Toro, Frances McDormand, Jeffrey Wright, Adrien Brody, Tilda Swinton, Timothée Chalamet, Saoirse Ronan, Léa Seydoux, Owen Wilson, Mathieu Amalric, Lyna Khoudri, Bill Murray, Elisabeth Moss, Willem Dafoe, Edward Norton, Christoph Waltz¸Guillaume Gallienne, Cécile de France, Jason Schwartzman, Tony Revolori, Rupert Friend, Henry Winkler, Bob Balaban, Hippolyte Girardot, Griffin Dunne
durata: 108 minuti

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