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Toni Servillo

Cinema

Viva La Grande Bellezza, il film di questo nostro decennio

Il decennio che sta per concludersi ha visto il cinema italiano e Paolo Sorrentino trionfare nella notte degli Oscar con La Grande Bellezza. Amato, odiato, criticato, idolatrato, questo film non passa mai inosservato. Scatena reazioni violente, come tutto ciò che ha a che fare con la vita.
La Grande Bellezza è meno eterea di quanto sembri e abbiamo provato a capirne il perché.

Tempo di lettura: 8 minuti

Secondo il sondaggio stilato dal Corriere.it, il film più rappresentativo del decennio è Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese. E forse hanno anche ragione; la tematica trattata è quanto mai attuale, parallela ed è giusto che sia stata raccontata sul grande schermo. Un film che è diventato intergenerazionale e internazionale: è stato praticamente distribuito ovunque, anche nella terra del Sol Levante. Un grande successo per il cinema italiano, senza dubbio.

Eppure. Eppure in questo decennio il nostro bistrattato cinema ha conseguito un’altra vittoria, un altro successo. Questo è il decennio in cui, il 3 marzo 2014, un certo Paolo Sorrentino ha alzato un Oscar al cielo ringraziando Federico Fellini, i Talking Heads e Diego Armando Maradona. Il cielo è sorrentiniano sopra Los Angeles. La Grande Bellezza ha vinto. And the Oscar goes to…The Great Beauty. E giù fusi orari, manifestazioni di gioia incontenibile e profondissima quiete. Silenzi, occhi chiusi e lacrimanti in barba a tutti i detrattori che l’hanno criticata. La Grande Bellezza è il film più bello di questo decennio. Come minimo. Di questo decennio? Forse di sempre no, non abbiamo i titoli per poterlo stabilire. Intanto ci ha fatto portare a casa un Oscar. Toglietevi il cappello davanti alla visione del mondo di Paolo Sorrentino. Giustificazioni non richieste ma necessarie. Chi sta scrivendo è sorrentiniana integralista, talebana, di rito osservante.

Sì, La Grande Bellezza è film più bello dell’ultimo decennio

Il mondo si divide in due grandi categorie: quelli che amano La Grande Bellezza e quelli che la detestano con smodata passione. L’indifferenza non è contemplata. Anche questo è un merito. Non passare inosservati, non scorrere anonimi, ma imprimere una direzione al vento delle emozioni. Suscitarle. Le immagini si attaccano alle viscere, le smuovono, le scompongono e le ricompongono, lavorando la carne viva. Il sangue. Dice che La Grande Bellezza non ha una trama lineare. La Grande Bellezza ordisce la sua trama ogni volta che va in scena. E ogni volta lascia lo stesso identico incanto: fa scoprire un dettaglio di cui non ci eravamo curati. Il dettaglio diventa una feritoia, la squarcio si apre; da lì filtra la luce come sale sulla pelle scoperta. Lo squarcio diventa scorcio. Diventa Roma all’alba, diventa Via Piccolomini di notte, Er Fontanone del Gianicolo (la Fontana dell’Acqua Paola, ndr) che gioca con i colori del cielo. Lo scorcio dialoga con l’immaginazione e percorre strade impensate. Per tornare al punto di partenza. Perché:

“Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza.Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non sbaglia mai. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita”.

Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte, 1932.

Toni Servillo

Così si apre La Grande Bellezza. Con Il Viaggio di Céline e con I Lie di David Lang, i colori cristallini del Gianicolo, un antefatto di Elsina Marone che fuma e legge Il Corriere dello Sport, un’orda di turisti silenziosi e composti. No, La Grande Bellezza non è un film su Roma. Guai a chi lo ha detto. La Grande Bellezza è un qualcosa a sé stante. La Grande Bellezza è la trasposizione cinematografica del Viaggio al termine della Notte di Céline. Forse è un po’ azzardata come ipotesi. Eppure. Eppure Céline è così prepotentemente dentro. Certo, Jep Gambardella non è Bardamu. Ma chi di noi è Jep Gambardella?

Chi è Jep Gambardella?

Jep Gambardella, critico d’arte, intellettuale, mondano. La scena della festa. Così surreale da essere vera. Così plasticamente inverosimile e reale. La prossemica di Toni Servillo, il suo modo di muovere le spalle, di tenere la sigaretta in bocca, di sorridere. E Serena Grandi, tanta e troppa, che esce dalla torta, sfatta e iconica, gridando: “Auguri Jep, auguri Roma!” Che potenza in una sola scena, che potere evocativo e decadente. La bellezza che invecchia, perde lo smalto e diventa caricatura di se stessa. Lo scorrere del tempo, un solco nel viso e un rigonfiamento sul labbro superiore. Roma come una donna sfatta e corrosa dalla cocaina, molle e accogliente. Ma La Grande Bellezza non è un film su Roma. E Serena Grandi non fa fatica a interpretarla. Serena Grandi per un lungo attimo è stata il ventre molle di Roma.

Serena Grandi

Jep Gambardella che liquida Isabella Ferrari così:

La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.

Perché La Grande Bellezza è anche un film citazionista par exellence. E anche i suoi detrattori non fanno altro che citarne delle frasi. Questa di Jep, poi. Va sempre bene per tutte le età. E per tutte le situazioni.

Tu grondavi vocazione civile? Il mitico monologo che Jep compie sul terrazzo nei confronti di Stefania e della storia ufficiale del Partito. Stilettate a chi si crede troppo sicuro di sé. Con un’inconfutabile verità: siamo dei disperati, a volte belli a volte meno, non resta che prenderci un po’ in giro, bonariamente. Una grande verità, incontrovertibile. Provate a dire il contrario. Un monologo per mettere a nudo tutte le certezze con cui ci siamo nutriti per anni, basta toccare le corde giuste. Con onestà e disincanto. Roma è solo un pretesto. E un luogo irrinunciabile.

Roma, La Grande Bellezza di Carlo Verdone e Sabrina Ferilli

Tra la folta schiera che popola le feste mondane di cui Jep è il re indiscusso (e che vuole far fallire!), Sabrina Ferilli interpreta Ramona, il personaggio più umano, più vero, più reale, più sensuale di questo Viaggio. L’unica che riesce davvero a tenere testa al cinismo di Jep. Ramona, desiderio proibito di uomini con l’anima sotto la suola delle scarpe; Ramona che ‘regala’ a Jep un’infinita notte d’amore e che riesce a vedere il mare sul soffitto della camera da letto. Ramona che: “Me pare da sta’ a Fiuggi!”. Poesia pura. La vita vera, altro che le menate dei mondani. Ramona, Forever di Antonello Venditti e lei placida sulla ciambella in piscina. La Grande Bellezza di essere se stessi che qui diventa fenomenologia di semplicità, mentre con Serena Grandi era caricatura, eccesso. Eppure con una punta di realtà. Ma Sabrina Ferilli batte Serena Grandi 10 a 0. Per la dignità con cui vive la sua malattia, per la sua uscita di scena. E perché in quella scena al Priorato dei Cavalieri di Malta sembrava una principessa.

Sabrina Ferilli

A Carlo Verdone, credibilissimo nel ruolo che interpreta, è affidata una delle riflessioni più amare di tutto il lungometraggio:

Ho trascorso tutte le estati della mia vita a fare propositi per settembre, ora non più. Adesso trascorro l’estate a ricordare i propositi che facevo e che sono svaniti, un po’ per pigrizia, un po’ per dimenticanza. Che cosa avete contro la nostalgia, eh? E’ l’unico svago che ci resta per chi è diffidente verso il futuro. L’unico. Senza pioggia, agosto sta finendo, settembre non comincia e io sono così ordinario. Ma non c’è da preoccuparsi, va bene. Va bene così

Va bene così. E Verdone torna a casa, consapevolmente sconfitto.

Compiere un’analisi del film parola per parola, citazione per citazione sarebbe troppo lungo.

Di cosa parla La Grande Bellezza?

E allora, dopo quasi 10 anni, di cosa parla La Grande Bellezza? No, non è un film su Roma, perché Roma ci pensa da sé a raccontarsi. Ma è l’unico luogo al mondo in cui sarebbe potuta essere ambientata. Un film d’amore? Sì, anche. Di lato. Del primo amore di Jep. E dell’imbarazzo e dell’inadeguatezza dello stare al mondo che subiamo tutti. E allora sì La Grande Bellezza è un film per tutti e non va visto solo come un racconto della mondanità. Anche se la prende come spunto. Forse perché è uno dei mondi più fragili e forse perché ciascuno indossa le lenti con cui riesce a vedere meglio. Ma tutti viviamo inadeguatezze nello stare a questo mondo, cercando sparuti sprazzi di bellezza capaci di dare un senso a tutto. Ecco cosa siamo. E lo siamo qui. E non altrove. Così:

Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco…”

Così come iniziava il Viaggio al termine della notte di Céline.

Ci sarebbero tante cose da dire, in ordine sparso. Che La Grande Bellezza è stato il film più bello degli ultimi dieci anni, che ha vinto un Oscar e altre mille premi, che è stato il film più visto in televisione negli ultimi dieci anni con 8.861.000 di telespettatori e il 36% di share. La ricordo quella sera del 4 marzo 2014 e ricordo perfettamente dove fossi e con chi fossi. Come ricordo quella sera in cui siamo andati a rivederla al Trullo a Roma, un freddo gelido e la decima visione de La Grande Bellezza. Partiamo per poi finire a mangiare radici. E ogni volta si aggiunge un dettaglio nuovo.

I titoli di coda: un film nel film

Alla decima visione de La Grande Bellezza è venuta fuori una nuova suggestione in omaggio a Céline. I titoli di coda del film sono un’altra trasposizione del Viaggio. La fine.

Lontano, il rimorchiatore ha fischiato; il suo richiamo ha passato il ponte, ancora un’arcata, un’altra, la chiusa, un altro ponte, lontano, più lontano… Chiamava a sé tutte le chiatte del fiume tutte, e la città intera, e il cielo e la campagna, e noi, tutto si portava via, anche la Senna, tutto, che non se ne parli più.”

L’immagine culla la parola. La parola si materializza in realtà, attacca la sensibilità e rimane impressa. L’explicit del Viaggio al termine della notte non avrebbe potuto avere una trasposizione migliore. Non sbandierata ma donata con pudore.

Un altro film dentro il film. E i titoli di coda più belli che siano mai stati prodotti.

Sì, La Grande Bellezza è il film più bello degli ultimi dieci anni. Al di là dei paragoni, dei tributi, degli echi di qualcun altro. La Grande Bellezza è La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. La Grande Bellezza è il Cardinal Bellucci e la sua ricetta del coniglio, è la suora che si nutre di radici, è la morte che viene a bussare di pomeriggio, è la conflittualità della vibrazione come rottura di coglioni! La Grande Bellezza è la sua colonna sonora da Bob Sinclair a The Kronos Quartet con The Beatitudes composta da Vladimir Martynov. Dal pop, alla dance, fino all’Opera. Un po’ come la vita.

Toni Servillo in La grande bellezza

La Grande Bellezza è in divenire; non basta una sola visione, non è sufficiente un solo articolo. Per questo molte cose mancano. La Grande Bellezza è ancora da cercare, da raccontare, nell’imbarazzo dello stare al mondo. Nell’amore e nella solitudine. Nel ricordo e nella nostalgia di Romano (Carlo Verdone). Nella dignità di Ramona. Nella prosopopea di Stefania. Nella povertà, che non si racconta ma si vive, della suora.

La Grande Bellezza è masticare radici. La Grande Bellezza è L’Apparato Umano.

Guardando in fondo agli occhi di Jep si possono scorgere i Ray-Ban azzurrini di Tony Pisapia.

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