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Una scena di Undine

Cinema

Undine, le acque sotto Berlino

Christian Petzold compone con toni semplici una fiaba postmoderna che racconta in un modo mai visto la metropoli di Berlino.

Tempo di lettura: 3 minuti

Nella razionale e rigorosa Berlino contemporanea sembra che possano trovare ospitalità anche sortilegi e creature magiche. Undine: un amore per sempre di Christian Petzold riflette sulla concretezza di tale possibilità, per il tramite di una fiaba postmoderna che attinge dall’omonimo romanzo ottocentesco di Friedrich de la Motte Fouquè. Tale racconta metteva al centro le vicende amorose di un’ondina, creatura del folklore teutonico che si riteneva abitasse gli antichi acquitrini. Come insegna la protagonista, la guida turistica Undine Wibeau (Paula Beer), la capitale tedesca non è sempre stata un paradiso di rigore formale e angoli retti. Berlino, infatti, prende il nome dalle paludi su cui furono eretti i primi insediamenti nel Dodicesimo secolo. Un luogo dal retaggio anfibio, che l’uomo ha cercato di tradurre in una sintesi di progresso e opulenza, seppur facendo i conti con i compromessi della Storia. Come sappiamo, il Muro ha lasciato sulla città ferite ancora non rimarginate, anche in chi ne custodisce la memoria, come Undine.

La città è coprotagonista a tutti gli effetti nell’ultima film di Petzold, uno dei registi tedeschi contemporanei più rinomati. In un quest’opera, in concorso allo scorso Festival di Berlino (dove nemmeno stavolta ha vinto l’agognato Orso d’Oro), l’autore riflette, infatti, con il filtro del genere, sul conflitto interiore alla propria città, facendone scontrare l’anima pragmatica e positivista con quella ancestrale e irrazionale. La chiave prescelta è quella del melò a tinte soprannaturali, che si consuma lungo il corso del fiume Sprea.

Paula Beer
Paula Beer in Undine

L’incipit del film vede la fine della storia tra Undine e Johannes (Jacob Matschenz), nonostante lei lo avverta della morte che lo coglierà se dovesse lasciarla. A pochi istanti dalla rottura, con una coincidenza straordinaria, nella vita di Undine entra il mite operaio Christoph (Franz Rogowski). É l’inizio di una nuova passione, che porterà Undine a frequentare le chiuse della Sprea, dove Christoph si occupa della manutenzione subacquea. Nel suo contesto acquatico, l’uomo verificherà direttamente la particolare condizione di Undine oltre le apparenze.

La storia d’amore che emerge ricorda una versione più contenuta de La forma dell’acqua di Guillermo del Toro, e con protagonisti a sessi invertiti. A Berlino non vediamo un uomo-pesce amazzonico che si lega a un’inserviente, ma una donna che di mestiere conserva la memoria storica della propria città con un uomo che invece ne preserva le fondamenta acquatiche. Il tradimento arriva proprio da chi non è in grado di cogliere l’essenza di questo universo, sottovalutandone regole e natura. Le metafore e i simbolismi pullulano nel film, ma sono disseminati con eleganza e misura, senza estenuazione.

Paula Beer in Undine
Una scena di Undine

Petzold, di fatto, compone un’opera asciutta basata su un soggetto decisamente umido, procedendo in modo lineare e lasciando il giusto spazio all’imperscrutabile. I due interpreti principali sono efficaci insieme, come già aveva sperimentato il regista nel precedente La donna dello scrittore. Paula Beer, in versione rosso chiomata come l’atlantidea Amber Heard in Aquaman, è credibile come entità errante fuori da tempo e spazio, mentre Rogowski è portatore sano di bonomia e candore. Lei è perfetta nell’incarnare una custode eterea e insicura, in un ruolo imparentato con quello degli angeli de Il cielo sopra Berlino.

Nonostante l’apparenza da fiaba postmoderna, l’opera di Petzold cela sotto la superficie una diapositiva di Berlino, che coglie i sogni infranti di chi ha voluto imporre legge e progresso in una palude abitata dalle fate.

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