Nell’estate del 2018 metà della popolazione terrestre era attaccata al televisore per seguire il campionato del mondo di calcio disputato in Russia; l’altra metà, invece, seguiva con attenzione e con un gran patema d’animo quello che stava accadendo all’interno della grotta di Tham Luang, in Thailandia.
Dodici giovani calciatori amatoriali insieme al loro coach, dopo una sessione di allenamento, decidono di andare a svagarsi all’interno di questa grotta tanto affascinante quanto densa di pericoli e imprevisti. Una pioggia monsonica, arrivata con qualche giorno d’anticipo rispetto alle previsioni, blocca il gruppo di ragazzi all’interno di una grotta ormai completamente allagata. Da quel momento e per i successivi venti giorni parte una corsa contro il tempo per tentare l’impossibile: salvare le vite di ciascun ragazzo.

Ron Howard torna a occuparsi di un evento accaduto realmente, così come più volte fatto nel corso della sua prolifica carriera da regista. La storia dei ragazzini rimasti intrappolati per quasi venti giorni all’interno di un grotta thailandese è pane per i denti di Howard, abile narratore di quelli che sono i meccanismi e le dinamiche che scaturiscono da imprese epiche partorite dalla mente umana (vedi Apollo 13, ma anche A Beautiful Mind).
The Cave, nel 2019, aveva già raccontato l’accaduto a distanza di appena un anno. Tredici vite arriva esattamente quattro anni dopo gli eventi, con una premessa e uno svolgimento ben diversi rispetto all’instant-movie thailandese (sobrio e minimal come sanno essere certe cinematografie orientali).
Nel film di Howard a predominare, principalmente, è l’impresa eroica di un gruppo di sub arrivati dall’Inghilterra e dall’Australia (li interpretano, in modo convincente, Viggo Mortensen, Colin Farrell, Joel Edgerton) che, insieme ai Navy Seals e alle autorità locali, e nonostante lo scetticismo di chiunque (persino di essi stessi), riescono a salvare tutte e tredici le vite con un’operazione che è già passata alla storia.

Il film evita accuratamente di premere troppo il pedale dell’onda emotiva e del dramma che avvolge il fatto, pur dedicando varie scene – sebbene con poco minutaggio – alla snervante attesa dei genitori dei ragazzi, stabilizzatisi per tutti i venti giorni all’esterno della grotta. Howard sceglie invece di seguire pedissequamente tutta la cronistoria delle vicenda, dall’inizio alla fine, con uno stile tendente al documentario. E registicamente l’operazione funziona. Il film ci restituisce delle riprese dirette molto bene e con mano sicura. Quello in cui Tredici vite deficita è nel rappresentare i protagonisti – i tre sub – come degli eroi privi di una caratterizzazione ben precisa. Traspaiono poco o niente le emozioni che provano e non si ha mai l’idea di come affrontino (con che stato d’animo, con quali pensieri, con quali convinzioni) questa operazione ai limiti del possibile.

Un passo avanti rispetto al drammone Netflix Elegia americana è stato sicuramente fatto da Ron Howard. Tredici vite, al contrario del precedente, è un film che senza ombra di dubbio evita il più possibile la retorica (sempre in agguato quando si affrontano certe storie), avendo anche dalla sua il fatto di essere un film girato in maniera onesta e con il rispetto di tutte le parto coinvolte nella causa.
Tredici vite
trama: Dodici adolescenti e un adulto rimangono intrappolati all’interno di Tham Luang Nang Non, una grotta nella provincia di Chang Rai. Le piogge monsoniche fanno salire il livello delle acque e le autorità tailandesi devono salvare le tredici persone intrappolate prima che anneghino.
regia: Ron Howard
sceneggiatura: William Nicholson
con: Colin Farrell, Viggo Mortensen, Joel Edgerton, Tom Bateman
durata: 149 minuti
disponibile su: Prime Video
