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Stefano Pioli

Calcio

Stefano Pioli e l’importanza di essere normali

Stefano Pioli è stato riconfermato sulla panchina del Milan anche per la prossima stagione. Breve storia di un allenatore normale.

Tempo di lettura: 5 minuti

Nel calcio, a volte, le buone maniere ripagano dai torti subiti. Ne sa qualcosa Stefano Pioli, fatto accomodare alla porta in maniera indegna dalla famiglia Della Valle poco più di un anno fa quando l’allenatore parmense sedeva sulla panchina della Fiorentina. Lo si accusava di scarsa serietà e professionalità, il che faceva decisamente ridere in quanto Stefano Pioli aveva fin lì dimostrato di essere sempre stato un serio professionista.

Garbato, educato con tutti, mai una parola fuori posto. Caratteristiche che lo hanno portato a guadagnarsi l’appellativo di “Normale One”. Intendiamoci bene: tutte queste peculiarità non fanno per forza di cose di un allenatore un vincente, o uno che comunque dà un imprinting ben preciso alla propria squadra. Anzi, la carriera di Pioli è stata caratterizzata principalmente da esoneri. Carriera che ha il sapore di un’eterna gavetta ma che finalmente (per Pioli) sembra aver trovato un punto di svolta con la riconferma al Milan anche per la stagione 2021/2022.

Gli inizi di Stefano Pioli come allenatore

Stefano Pioli, classe 1965, ha collezionato all’incirca più di 200 presenze in Serie A come calciatore (il suo ruolo era il difensore) in squadre come Verona, Juventus, Padova e Fiorentina. La prima volta che si siede su una panchina come allenatore lo fa a Bologna, nella sua Emilia, allenando gli allievi nazionali della città delle due torri. Nella stagione 2003/2004 debutta nel campionato di Serie B allenando la Salernitana, a cui segue, nelle due stagioni successive, il Modena. Ma ecco che arriva l’occasione per il suo primo grande salto nei palcoscenici che contano: il Parma, la squadra della sua città. Serie A e una comparsata in Coppa Uefa però sembrano un po’ troppo per Pioli che delude le aspettative e ritorna subito a farsi le ossa sui campi della Serie B (quelli di Grosseto, Piacenza e Sassuolo).

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Il ritorno in Serie A sulla panchina del Chievo coincide anche con l’inizio di una serie di esoneri che lo portano a saltare su tutte le panchine sulle quali si siede. Dopo aver salvato agevolmente la squadra clivense, Pioli riceve la chiamata di Zamparini per allenare il Palermo. Chi conosce bene la storia recente del calcio italiano sa che Zamparini è uno di quei presidenti che ha il vizietto di cambiare sovente l’allenatore, anche se quest’ultimo risulta una scelta vincente. Non è il caso però di Stefano Pioli, che viene esonerato prima ancora dell’inizio del campionato per aver perso contro gli svizzeri del Thun al terzo turno dei preliminari di Europa League.

I successi (e gli esoneri) con Bologna e Lazio

Passano solo due mesi e Pioli trova approdo al Bologna (in sostituzione di Bisoli) dove si ferma per tre stagioni. Il suo esordio contro il Novara è vincente. Un buon inizio che trova conferma anche nelle prime 8 partite del 2012 dove il Bologna termina i 90 minuti sempre con 3 punti. A fine stagione Pioli piazza il Bologna al nono posto con 51 punti (50 ottenuti da lui in 33 partite). Il secondo anno va un po’ meno meglio del primo (44 punti e tredicesimo posto in classifica), mentre il terzo porta all’esonero di Pioli prima del termine del campionato. L’allenatore parmense lascia la panchina di un Bologna virtualmente salvo ma che a fine campionato retrocederà in Serie B.

Il ritorno sulla panchina di Stefano Pioli avviene prendendo le redini della squadra che forse, in quel momento, è per lui il punto più alto della sua carriera: la Lazio. Pioli trova subito la quadratura del cerchio portando gli aquilotti oltre le più rosee aspettative: finale di Coppa Italia (persa contro la Juventus) e qualificazione in Championse League dopo 8 anni dall’ultima partecipazione. Il secondo anno di Pioli sulla panchina biancoceleste non comincia nel migliore dei modi: sconfitta nella gara secca di Supercoppa Italiana contro la Juventus ed eliminazione ai preliminari di Champions contro il Bayer Leverkusen che rifila alla Lazio un pesante 3 a 0 (nonostante la vittoria all’andata per 1 a 0). La squadra scende nel gradino inferiore delle competizioni europee dove il suo cammino si conclude agli ottavi di finale contro lo Sparta Praga. Questa sconfitta, unitamente a un campionato abbastanza altalenante, portano Stefano Pioli al terzo esonero in Serie A.

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L’arrivo all’Inter e l’approdo a Firenze

La stagione seguente, 2015/2016, sembra essere quella della sosta ai box per Stefano Pioli in attesa di trovare una nuova squadra da allenare. Ma a novembre del 2015 riceve la chiamata dell’Inter per sostituire Frank De Boer (dopo la fugace parentesi di Vecchi), reo di far traballare i nerazzuri in campionato. Pioli lascia subito il segno inanellando una serie di 7 vittorie consecutive. Non è tutto oro quello che luccica, verrebbe da dire, tanto che Pioli termina il campionato in maniera disastrosa. E’ un nuovo esonero per lui, il quarto della sua carriera.

A settembre dello stesso anno Pioli volta nuovamente pagina accettando la proposta arrivatagli dalla Fiorentina. Il suo primo anno sulla panchina dei gigliati, squadra in cui ha miliatato da calciatore, è senza infamia e senza lode a livello di classifica. Una stagione che ha anche un risvolto drammatico nel marzo del 2018, quando il difensore e capitano della Fiorentina Davide Astori viene trovato morto nella stanza di un albergo di Udine. Una notizia che sconquassa il mondo dello sport italiano (e non solo). La Fiorentina, duramente colpita, trova la forza per concludere nel migliore dei modi il campionato posizionandosi ottava in classifica, grazie anche a un allenatore che ha lavorato bene anche a livello psicologico sui giocatori devastati dall’accaduto. L’anno seguente si conclude nel peggiore dei modi, con la famosa lettera dei Della Valle già citata in apertura dell’articolo. E’ la prima volta – una rarità per il mondo del calcio, a pensarci bene – che Stefano Pioli si dimette da una panchina.

L’arrivo al Milan (con conferma)

Nell’ottobre del 2019 Stefano Pioli si raffaccia a San Siro, questa volta sponda rossonera. Viene chiamato dal Milan per sostituire l’esonerato Marco Giampaolo, sul quale la società milanese aveva puntato molto a inizio stagione. Per Pioli sembra ripetersi lo stesso copione di quando si trovò ad allenare l’Inter, ma in modo capovolto. La sua prima vittoria arriva quasi dopo un mese contro la Spal per 1 a 0. Una vittoria che però sembra non dare continuità alla squadra dei diavoli che arrivano a incassare ben 5 reti nella gara contro l’Atalanta del 22 dicembre.

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A marzo il campionato viene interrotto a causa del diffondersi dell’epidemia da coronavirus. Il Milan, nelle ultime partite prima della sosta, vince poche partite e perde il derby di Milano facendosi rimontare dall’Inter (da 0-2 a 4-2). Su Pioli inizia ad aleggiare lo spettro di Ralf Rangnick, il responsabile sportivo del gruppo Red Bull. Le trattative sono già in fase avanzata: la società ex via Turati pensa a Rangnick non solo come allenatore, ma anche come direttore sportivo.

Il campionato riprende e il Milan di Pioli sembra essere la squadra che ha attutito nel migliore dei modi il duro colpo dello stop forzato. I rossoneri, dopo nove risultati utili consecutivi (dieci, se includiamo il pareggio di venerdì 24 luglio contro l’Atalanta), accantonano l’idea Rangnick e danno fiducia a Stefano Pioli anche per la stagione successiva. L’allenatore firma il rinnovo fino a giugno 2022. Nel suo contratto è previsto un sostanziale aumento di compenso e un bonus scudetto (consuetudine per le squadre che lottano per le prime posizioni).

Se il campionato fosse iniziato dopo il lockdown, il Milan sarebbe primo in classifica. E se Pioli fosse arrivato a Milano già a inizio campionato, chissà se i rossoneri non avrebbero lottato per posizioni più prestigiose di quelle dove si trovano attualmente. La società rossonera ha deciso di continuare a percorre il sentiero della normalità lasciando la squadra nelle mani Di Stefano Pioli, invece di prendere un percorso sulla carta più affascinante ma non privo di incognite come quello che avrebbe portato a scegliere l’innovatore (?) Rangnick.

Nel calcio, una volta tanto, ha prevalso la normalità.

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