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Seven Summits Challenge

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Seven Summits Challenge, la sfida per i tetti del mondo

Estate, di nuovo la torrida e soleggiata estate. C’è chi va al mare e chi preferisce la montagna. E poi c’è chi prende la montagna come una una sfida personale. Vi presentiamo la Seven Summits Challenge: sette montagne, tutti i continenti… La sfida sportiva di una vita.

Tempo di lettura: 5 minuti

La scalata delle Seven Summits (o Sette Vette per i più italofoni) ha una storia recente e comunuqe appassionante. Tutto nacque da un’idea dell’impresario statunitense e appassionato alpinista Richard Bass, che nel 1983 tentò per primo l’impresa accompagnato da Frank Wells (allora a capo della Warner Bros). Quell’anno, Bass e Wells riuscirono a scalare solo sei delle vette che si erano preposti di attaccare, arrendendosi per ben tre volte all’Everest, il degno boss finale di questa sfida.

In seguito Wells avrebbe abbandonato l’impresa per motivi familiari, ma non Richard Bass. Fu lui nel 1985 a completare l’impresa, all’età di 55 anni stabilendo anche un record di diverso genere: fu la persona più anziana a completare la scalata dell’Everest. Tale record rimase intatto fino al 1993. In quell’anno Ramon Blanco potè piantare la propria bandierina sul re delle Seven Summits, all’età di 60 anni.

Everest Seven Summits

Quali sono le Seven Summits?

Le Sette Vette scelte da Richard Bass non hanno sempre messo d’accordo gli appassionati della disciplina. In effetti, vi sono alcune scelte che fanno un po’ discutere, come per esempio l’idea che la Vetta per il continente Europeo non fosse il Monte Bianco. Ma andiamo con ordine: ecco la lista delle Vette contemplate per il Seven Summit Trip:

  • Europa: il Monte Elbrus (5642 mt) fu la scelta di Bass. Si tratta della cima più alta del Caucaso il che di per sé apre già ad alcune possibili polemiche, dato che si dovrebbe entrare più a fondo nel concetto di Europa fisica e geopolitica. Per ovviare a tale confusione, l’italiano Reinhold Messner avrebbe proposto il Monte Bianco (4808 mt) come tappa Europea della Seven Summits Challenge. Molti altri lo avrebbero seguito in questa decisione negli anni a venire, ma non tutti.
  • Africa: il continente nero ha messo d’accordo Richard Bass e i suoi successori. La Vetta non poteva che essere il Kilimangiaro (5895 mt).
  • America del Nord: l’unica polemica americana riguarda solamente una più o meno rigorosa visione del mondo e dei continenti che la compongono. Alcuni credono che il Nord ed il Sud dovrebbero essere considerati un unico continente e di conseguenza non dovremmo avere più di una tappa del Seven Summit. Ma per fare quadrare i conti  (perché sette è bello) e perché in fondo non siamo così rigidi, siamo tutti d’accordo con Bass a indicare il monte Denali (6190 mt) come tappa nordamericana.
  • America del Sud: fra le Ande Argentine svetta l’Aconcagua, che con i suoi 6962 mt non ha rivali in questa zona del mondo.
  • Oceania: qui interviene una nuova divergenza fra le scelte originali di Bass e quella che molti definiscono la “lista Messner”: l’americano era propenso ad annoverare fra le Seven Summits solo il Kosciuszko (2228 mt). Tuttavia non aveva considerato le vertiginose vette delle regioni più insulari del continente. Una mancanza questa a cui ha rimediato Messner, che virò per il ben più imponente Puncak Jaya (4884 mt) dell’isola di Papua.
  • Antartide: poche storie riguardo al continente ghiacciato. Qui il Monte Vinson (4892 mt) domina su un mondo freddo e silenzioso eccetto che per i colpi di piccone di qualche alpinista professionista.
  • Asia: solo una parola, Everest (8848 mt). Semplicemente indiscutibile.
Localizzazione delle Seven Summits

I “Precursori” della challenge

Paradossalmente, l’ultima montagna menzionata fa tutta la differenza tra la nascita ufficiale della Seven Summits Challenge ed i prcedenti tentativi di salire sul tetto di ogni continente. Furono Bass e Wells ad includerlo nel loro progetto e da allora l’Antartide rimane una tappa fissa per gli sfidanti.

Tuttavia, se il continente più a sud fosse stato incluso nelle peripezie di illustri precursori come William D. Hackett, avremmo avuto una Seven Summits Challenge già a partire dalla fine degli anni ’50. Benché all’americano mancasse ancora l’Everest, nel 1956 era riuscito a salire in cima alle vette più importanti di cinque continenti diversi.

Nella storia anteriore alla sfida delle Sette Vette, un posto d’onore merita senza’altro anche il giapponese Naomi Uemura. Avrebbe potuto completare il tour nel 1984, solo un anno prima che Bass conquistasse l’Eversest. Gli mancava da scalare il Vinson per completare il set, quando fu dato per scomparso nel suo tragitto in discesa dal Denali, nel Febbraio ’84. Certamente aveva raggiunto la cima: gli esploratori trovarono la bandierina giapponese ben piantata sulla somma del Denali.

Uemura, avventuriero dalle grandi ambizioni, aveva già raggiunto fama mondiale,  prima dello sfortunato assalto al Denali. Tra il ’74 e il ’76 fu la prima persona la mondo a raggiungere il Polo Nord in solitaria.

Francobollo dedicato alle imprese di Naomi Uemura

Altre imprese sulla rotta della Sette Vette

Dobbiamo partire sempre dal presupposto che la parola “impresa” definisce perfettamente la Seven Summits Challenge. Per il suo costo, dato che indirettamente richiede di poter viaggiare il mondo? Per la possibillità di entrare nel novero di pochi eletti (poco più di 500 persone al mondo possono dire di avercela fatta)? Più semplicemente, per la sua pericolosità. La montagna può essere infida, e le montagne più alte del mondo possono esserlo più di altre.

Eppure, ogni anno dal 1985 qualcuno ha provato a entrare nella leggenda del Seven Summits Trip. Non mancano storie che possano ispirare sempre nuovi appassionati a prendere l’attrezzatura e partire.

Storie di riscossa personale, come quella di David Mauro, alpinista quasi per caso grazie all’invito del cognato a scalare il Denali nel 2007. Mauro, per usare un euefemismo, si sentiva un po’ giù in quel periodo. Quarantenne, aveva già avuto a che fare con un divorzio e credeva già che la vita non avesse più molto da offrirgli. Qualche tempo, fa, ricordando quel periodo, Mauro dichiarò che non avrebbe mai accettato l’invito se non si fosse “sentito a un punto così basso” nella sua vita.

Cominciata con un invito per tirargli su il morale, Mauro aveva appena finito la scalata del Denali, ma evidentemente la Seven Summits Challenge non aveva finito con lui. Poco tempo dopo impostò la rotta per il Kilimangiaro, e dalì a sette anni un alpinista provetto avrebbe completato le Sette Vette (alla faccia della crisi di mezza età!).

La storia della Seven Summits si intreccia anche con cuase di maggiore impatto, come quella dei diritti LGTBQ+. È la vicenda di Cason Crane, che riuscì nell’impresa nel 2013. Crane vi si era cimentato perché si era posto l’obiettivo di raccogliere fondi per il Trevor Project e portare sotto gli occhi dell’opinione pubblica la crescente e tragica tendenza ai suicidi fra giovani appartenenti alla comunità LGBTQ+. Con queste motivazioni non sorprende che Crane sia riuscito a portare la bandiera arcobaleno sul tetto del mondo.

E una volta lassù? Siamo forse padroni del mondo? Molti di noi non completeranno mai la Seven Summits Challenge nè vedranno mai il mondo dalle alture dell’Everest, eppure c’è da chiederselo: cosa proveremmo ad arrivare in cima a tutto e a guardare giù? Secondo Alison Levine, la quale nel 2002 capeggiò una spedizione sull’Everest tutta al femminile, la sfida non ha nulla a che fare con il traguardo. Per dirla con le sue parole “stare in piedi sulla cima di una montagna non cambia te e non cambia il mondo, è davvero tutto nel viaggio, il viaggio è la cosa più importante per ogni montagna“.

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