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Scene da un matrimonio

Recensioni

Scene da un matrimonio, il parossismo familiare di Ingmar Bergman decrittato in chiave moderna

Scene da un matrimonio, presentato in anteprima a Venezia ’78 e disponibile su Sky, si avvale del dinamico duo Isaac-Chastain per raccontare i dissapori e le scontentezze matrimoniali.

Tempo di lettura: 4 minuti

Il matrimonio, in ambito cinematografico, ha sempre rappresentato un colossale tabù tematico, un riverente divieto a raccontare la sacralità dell’unione tra uomo e donna. Ma a Ingmar Bergman, il regista del ‘senza veli’, questi ossequi cerimoniosi non sono mai piaciuti. Dalla sua febbrile voglia di trasgredire i canoni raffigurativi del cinema classico nasce nel 1973 Scene da un matrimonio, una miniserie in sei puntate – cui seguirà una trasposizione cinematografica – di cui si serve per descrivere da una prospettiva contorta la fallacia naturalistica del matrimonio. Sulla scia dell’opera prima, Hagai Levi porta in scena l’acme sentimentale della separazione tra Jonathan (Oscar Isaac) e Mira (Jessica Chastain) attraverso un kammerspiel intimista che si serve dello spazio circoscritto della casa per esasperare l’inquietudine e lo smarrimento di entrambi.

Scene da un matrimonio

La ricerca di senso nell’incomprensione reciproca

Mira e Jonathan sono felicemente sposati, hanno una bellissima figlia di 5 anni, vivono in una graziosa casa nella periferia della big city e hanno entrambi la fortuna di fare per mestiere ciò che amano: Mira è la vicepresidente del product management dell’Horizon, Jonathan è professore di filosofia all’università. È un quadretto oltremodo idilliaco, da sogno, e di cui, per quanto ci provino, non riescono a convincersene nemmeno loro. Infatti, sotto la superficie dell’apparenza – quella diabolica, che li spinge a fingere in presenza altrui una sintonia posticcia ed inesistente – naviga un’insoddisfazione coriacea e viscerale, che affonda le sue radici nell’ormai completa assenza di passione e coinvolgimento sessuale da parte di Jonathan nei confronti della moglie e nella algida chiusura emotiva di Mira. Storture matrimoniali che, tanto per quieto vivere quanto per pigrizia, i due coniugi lasciano sepolte sotto spessi strati di silenzio.

Il confronto verbale che Mira e Jonathan tesseranno nel corso di tutti e cinque gli episodi – resosi necessario, seppur a spot, per una serie di eventi che hanno minato alle fondamenta la stabilità della famiglia – non è nient’altro che un rigurgito sentimentale, un’impellenza di chiarezza che brucia sottopelle da troppo tempo e che ha finalmente trovato i pretesti giusti per emergere e vedere la luce del sole. Mira denuncia di Jonathan la sua pacatezza snervante, la sua diplomazia, la razionalità e il sangue freddo con i quali riesce ad ordinarle persino la valigia per andarsene di casa; Jonathan accusa lei di essere una donna fortemente disorientata e ambigua, incostante nei suoi pensieri tanto quanto nei suoi sentimenti. In linea di massima, tuttavia, il problema principale tra i due non è rappresentato tanto dai limiti operativi di entrambi, quanto dall’incapacità di comunicare. Una castrazione emotiva che quando implode li spinge ad accusarsi a vicenda di assenze e mancanze, senza riuscire mai a venire a capo del problema o a desiderare, almeno alla lontana, di volerlo fare.

Scene da un matrimonio

‘E allora ti dirò una cosa ancora più ovvia: noi non siamo che degli analfabeti da un punto di vista sentimentale. Ci hanno insegnato tutto, sull’anatomia, sull’agricoltura in Africa, ma non ci hanno insegnato una sola parola sulla nostra anima. L’ignoranza su noi stessi e sugli altri è tragicamente totale’, denunciava, già quasi cinquant’anni fa, il Johan di Ingmar Bergman nel quarto episodio con un monologo brutale, cercando di giustificare la sua totale incapacità di comprendere l’altro e di comprendere sé stesso . Anche il Jonathan di Hagai Levi si rende conto ben presto di non disporre degli strumenti adeguati per comprendere sua moglie, il suo matrimonio e le cause che hanno portato alla loro separazione, sprofondando in un’accettazione passiva e abulica della realtà.

La cessione abnegante dei ruoli familiari

La crisi uterina di Scene da un matrimonio viene reinterpretata, così, in chiave moderna: se nell’opera bergmaniana Johan era la figura che dominava nella coppia, con il suo umore volubile e la sua perenne insoddisfazione che lo portavano a picchi d’ira incontrollati e a scelte repentine ed imprudenti – per poi ritornare tuttavia sempre al porto sicuro di quel matrimonio con Marianne, nonostante la sua chiara e lapalissiana disfunzionalità -, al contrario Levi rende, nella sua sceneggiatura, la parte predominante e forte quella di Mira, donna in carriera, volubile e oltremodo bramosa di tutto, dalla quale dipende tanto la gestione delle economie familiari quanto la serenità di Jonathan e della coppia.
La miniserie appare, così, estremamente attuale ed in linea con i tempi moderni, in cui lo stereotipo della donna associata alla gestione della casa e della famiglia si va pian piano diluendo, a favore di un’immagine altrettanto speculare e valida dell’uomo che si occupa, con egual dedizione e capacità, delle stesse identiche cose.

Scene da un matrimonio

I cinque episodi sono di una potenza emotiva difficilmente descrivibile a parole, ma facilmente intuibile anche solo dalla prossemica tra Mira e Jonathan – interpretati magistralmente e senza sbavatura alcuna da Jessica Chastain e Oscar Isaac – quella che indugia sullo spazio chiuso e claustrofobico della casa e sulla distanza fisica tra i due, per accentuarne quella comunicativa.
Scene da un matrimonio si propone allo spettatore come un blando vademecum, senza arrogarsi il diritto di raccontare la crisi matrimoniale e suggerirne una o più soluzioni valide, ma assumendosi il dovere di (di)mostrare che, alla base dei fallimenti relazionali, sussiste quasi sempre l’incapacità di aprirsi in maniera sincera all’altro.

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