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Pino Maniaci in Vendetta

Netflix

Vendetta, quando la guerra avviene per un obiettivo comune

“Vendetta – Guerra nell’antimafia” è una docuserie che offre un ritratto ben preciso di come il sistema dell’antimafia non sia del tutto privo di storture e sbavature.

Tempo di lettura: 3 minuti

La verità non è mai bianco e nero. La verità è fatta di tante sfumature di grigio.” Sono pensieri e parole di Antonio Ingroia, l’ex pm ora avvocato (con un breve e fugace passaggio – poco fortunato – dalla politica) che pronuncia in uno degli episodi della docuserie Vendetta – Guerra nell’antimafia, disponibile su Netflix. Ed è ancora una volta il grigio il colore a cui ruota attorno una storia fatta di contraddizioni, dubbi e ambiguità. Perché il grigio ha un appeal narrativo senz’altro maggiore rispetto a situazione ben più marcate e definitive.

Qualche mese fa fu SanPa, restando nell’alveo delle docuserie italiane, a guidarci nei contrasti morali di un uomo, Vincenzo Muccioli, guru di una comunità di recupero dalle tossicodipendenze alle porte di Rimini. Adesso un altro team di autori – Ruggero Di Maggio, Davide Gambino, Flaminia Iacoviello, Daniela Volker, Suemay Oram – spostano il racconto sulla moralità di due personaggi che hanno fatto della lotta alla mafia uno degli scopi principali della loro vita.

Pino Maniaci

Il primo si chiama Pino Maniaci, giornalista fondatore di TeleJato, un’emittente televisiva situata nel comune di Partinico, vicino Palermo, che trasmette un tg dove le principali notizie diffuse trattano di temi legati alla cattiva gestione del territorio da parte degli amministratori locali. E, soprattutto, dell’annoso problema della mafia. Pino Maniaci, anche conduttore del tg, armato di microfono e telecamera si dirige sui luoghi dei misfatti per documentare ora il degrado dovuto all’accumulo dell’immondizia ora il racket ora la corruzione. E’ uno che ci mette la faccia, che non lesina pesanti epiteti nei confronti dei mafiosi. Uno che, insomma, la mafia la lotta senza aver paura di eventuali ripercussioni su se stesso e sulla sua famiglia, che lo aiuta pedissequamente nella realizzazione dei suoi servizi.

La seconda è Silvana Saguto, ex magistrato e, all’epoca in cui si svolgono i fatti, responsabile massimo delle misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il suo compito era quello di sequestrare beni e terreni appartenenti alla mafia. Una personalità di spicco nella lotta alla criminalità organizzata. Con i suoi interrogatori, è stata colei che ha incalzato Totò Riina nel maxi processo che lo vide coinvolto per le stragi mafiose di Capaci, Milano, Firenze e Roma.

Due personaggi che hanno un obiettivo comune e che apparentemente remano entrambi nella stessa direzione: combattere la mafia. Chi a colpi di confische, chi a suon di servizi televisivi. Ma arriva un momento che la lotta si fa intestina e i due iniziano a darsele di santa ragione. Il motivo? Alcune inchieste che li vedono coinvolti. Maniaci è accusato di compiere quello che da anni combatte, ovvero estorcere denaro sotto intimidazione. Saguto di clientelismo: tramite la sua posizione professionale, avrebbe favorito, in cambio di denaro e favori, la nomina di amministratori a lei vicini (come il marito) dei patrimoni sequestrati alla mafia. Insomma, dalla prima linea alla lotta alla mafia i due si ritrovano a essere accusati di reati che essi stessi combattevano ognuno a loro modo.

Silvana Saguto

Vendetta – Guerra nell’antimafia segue minuziosamente un arco temporale molto esteso che parte dall’inizio delle accuse ai due e si conclude con le sentenze nei due processi che hanno visto coinvolti Maniaci e Saguto. Il pregio maggiore della docuserie Netflix è quello di non prendere mai una posizione, di non parteggiare mai per uno degli attori in causa piuttosto che di un altro. Anzi, compie esattamente il procedimento opposto non lasciando niente per strada. Accumulando indizi, testimonianze di persone a loro vicine la serie offre un ritratto ben preciso di come il sistema dell’antimafia non sia del tutto privo di storture e sbavature. Lascia al telespettatore capire e farsi una propria opinione, stimolandolo all’ulteriore approfondimento della vicenda – tutt’altro che conclusa: Maniaci è stato assolto in primo grado (solo condannato per diffamazione) e Saguto, invece, condannata a 8 anni e 6 mesi, sempre in primo grado.

Ed è quindi vero quello che afferma a più riprese Antonio Ingroia, corso a difendere Pino Maniaci dalle accuse della procura di Palermo, sul concetto di verità, aggiungendo anche chese sono tutti colpevoli, allora sono tutti innocenti. La verità, quindi, sembra essere solo un concetto astratto, ambiguo. E che prima di definire con frettolosità eroe qualcuno che si contraddistingue per operazioni meritevoli, occorre prima scavare a fondo e conoscere cosa c’è dietro il bianco e cosa dietro il nero. Probabilmente un’infinita sfumatura di grigi.

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