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Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades

Cinema

Bardo, l’antologia onirica di Alejandro Gonzáles Iñárritu

Bardo è un elogio alla finzione, che viene spurgata della sua componente negativa e diventa persino più funzionale della verità.

Tempo di lettura: 4 minuti

Su una distesa di terra arida del Messico, un’ombra proiettata prende svariate volte la rincorsa, ad ogni giro sempre più veloce, per saltare e librarsi in aria, più in alto possibile, ad assaporare la bellezza e la libertà del cielo. È questa la sequenza iniziale con la quale Alejandro Gonzáles Iñárritu apre il settimo film della sua carriera intitolato Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades, in concorso alla 79esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.


Sin da subito è chiaro l’intento del regista, quello di presentarci, attraverso un forte simbolismo visivo, l’ego smisurato di Silverio Gama, un giornalista e documentarista messicano che, dopo venti anni di carriera negli USA, riesce finalmente a conquistare un riconoscimento a livello nazionale tramite un premio conferitogli dalla Society of Professional Journalists. Silverio è famelico ed insaziabile nelle sue idee, nei suoi propositi, nei suoi ideali; sembra un uomo disposto a piegarsi al capitalismo statunitense pur di arraffare la fama e il prestigio che brama, ma l’appetito che prova per la conquista del futuro è direttamente proporzionale alla necrotica nostalgia del passato, inteso tanto in termini di tempo quanto di spazio. Quell’ombra oblunga che prova freneticamente a sbalzare sé stessa in avanti è, in realtà, distorta dalla posizione del sole e più piccola di quanto si possa credere: dietro di essa si nasconde una personalità umile con una coscienza in fortissimo tumulto.

Bardo

Stiamo sperimentando il viaggio fisico (di ritorno, per un breve periodo, in Messico) ma anche e soprattutto quello spirituale di una mente complessa, poliedrica, ambivalente, di un uomo diviso tra due grandi Amori, la Madre Patria che gli ha dato i natali ed il suo surrogato succedaneo, gli Stati Uniti d’America, che gli hanno consentito quella libertà di espressione che a casa non avrebbe potuto nemmeno lontanamente cercare. Silverio è il cosiddetto “immigrato di prima classe”, che si è visto costretto a plasmare la propria identità artistica altrove perché quella sociale e culturale di provenienza lo avrebbe ingabbiato in un’atrofia creativa ingestibile per una personalità dinamica e fluida come la sua.

La sua storia è un’occasione per raccontare le turbolenze emotive universali di chi lotta contro i sensi di colpa di un abbandono geografico sì fortemente voluto ma, al contempo, quasi imposto dalle condizioni al contorno, dall’arretratezza di un paese che sforna pochissime mentalità aperte e, che quando lo fa, le rigetta come dopo un trapianto d’organi non riuscito. La scelta di Silverio non è mai stata compresa fino in fondo da alcuni, condannata da altri, disprezzata da chi non ha avuto il coraggio come lui di gettare il cuore oltre l’ostacolo, seppur con grandi rimpianti e ripensamenti costanti. Inutili sono i suoi tentativi di riavvicinarsi – anche solo spiritualmente – alla sua terra natia: la scelta di raccontare, nel suo ultimo documentario, la vita di una delle popolazioni indigene messicane, più che un laconico tentativo di ritorno alle origini è interpretato dai più come un passivo tentativo di lucrare sulle sventure altrui.

Bardo

È lapalissiana l’operazione di proiezione di Iñárritu di sé stesso sul protagonista della sua pellicola, al quale lo legano la professione, l’emigrazione negli USA e una serie di piccoli eventi quale, ad esempio, la perdita di un figlio nato morto. Un film davvero sentito, quello del regista messicano, in cui non possiamo fare a meno di empatizzare con lui e con il suo alter ego cinematografico: Silverio sperimenta, ancora in vita, il suo personale Bardo buddhista, condannato a splittare la sua coscienza tra passato e futuro, tra pentimenti e aspirazioni, tra un’idioma originario che non ha intenzione di abbandonare e un patriottismo acquisito, come quando, all’aeroporto di Los Angeles, gli dicono che il suo visto O-1 non equivale a chiamare gli USA “casa”.

Bardo è anche – o forse soprattutto – un elogio alla finzione, che viene spurgata della sua componente negativa e diventa persino più funzionale della verità. Stesso Silverio afferma, in un’accesa discussione con uno dei suoi amici storici, che essa non può essere ricercata nella memoria – essendo quest’ultima filtrata dalle emozioni – e che paradossalmente tutto acquisisce un carattere più autentico e veritiero nella finzione. Che non vuol dire mistificare, occultare omertosamente, falsificare la storia, non c’è spazio per l’ipocrisia né per la vigliaccheria. È, al contrario, dare un volto alle proprie paure e al contempo ai propri desideri più intimi e viscerali.

Le vicende di Silverio si dipanano attraverso un’antologia onirica fatta di salti temporali, commistioni cronologiche, accavallamenti spaziali, in cui è difficile (e forse anche secondario) comprendere quale sia lo spazio del tangibile e quale quello dell’immaginario. Siamo dinanzi a dei ricordi fallaci? dei desideri irrealizzati? delle proiezioni inconsce? Iñárritu, con il suo ultimo film girato a distanza di sette anni da Revenant, si trasforma in un produttore seriale di magia, che consente al protagonista, attraverso la dimensione dei sogni, di mettere a tacere le proprie pene e di poter riscrivere delicatamente le pagine della propria esperienza di Vita. Surreale. Illogico. E, proprio per questo, bellissimo.


Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades
trama: Bardo è una commedia nostalgica nella cornice di un viaggio epico. Una cronaca di incertezze dove il protagonista, noto giornalista e documentarista messicano, torna nel suo Paese affrontando la sua identità, gli affetti familiari, l’assurdità dei suoi ricordi, ma anche il passato e la nuova realtà del suo Paese.
regia: Alejandro González Iñárritu
sceneggiatura: Alejandro González Iñárritu, Nicolás Giacobone
con: Daniel Giménez Cacho, Griselda Siciliani, Ximena Lamadrid, Iker Sanchez Solano, Andrés Almeida, Francisco Rubio
durata: 174 minuti
disponibile: su Netflix alla fine del 2022


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