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Giulio Mastromauro

Cinema

Un inverno che sa di primavera, intervista a Giulio Mastromauro

Intervista al regista Giulio Mastromauro, vincitore del David di Donatello come miglior cortometraggio nel 2020 per Inverno – Kimonas.

Tempo di lettura: 5 minuti

L’edizione 2020 dei David di Donatello ha visto tra i vincitori Giulio Mastromauro con il suo cortometraggio Inverno – Kimonas dedicato alla preparazione al lutto del piccolo Timo, prossimo alla perdita della madre. Il contesto è quello di una famiglia di giostrai di origine greca, che vive a ridosso di un piccolo e malandato luna park chiuso per la stagione invernale. Tra gli interpreti anche Babak Karimi, attore-feticcio tra gli altri di Asghar Farhadi. É un’opera delicata e struggente, che si muove nei luoghi reconditi di quell’umanità di frontiera scandagliata da Edoardo De Angelis in Il Vizio della speranza, con cui Inverno sembra imparentato. Il racconto inscritto tra giostre e giochi dell’infanzia, inoltre, avvicina il testo ad antichi fasti di felliniana memoria, dando ancora maggiore spessore al risultato finale.

Come il titolo doppio, sono molti gli aspetti del corto che ragionano su doppiezza e dicotomie, come le stagioni, la vita e la morte, il freddo e il calore. Il regista ha concesso un’intervista per Ultima Razzia, che riportiamo qui di seguito, dove si sono potuti approfondire i molti temi e sfumature di questo prezioso cortometraggio, un fiore che speriamo possa anticipare una primavera di nuovo cinema italiano che tarda parecchio ad arrivare.

Giulio Mastromauro

Innanzitutto complimenti, confermo che Inverno è un’opera di altissimo valore, umano e artistico. In primo luogo volevo chiederti quanto sei stato influenzato dalla tradizione dell’infanzia del Neorealismo e soprattutto dal racconto del circo, universo carissimo a Fellini. Lo chiedo perché ho subito recepito una sintesi riuscita tra questi due elementi chiave della tradizione italiana.

“Sono molto felice che emerga un parallelismo tra il mio film e il cinema del passato, perché lo amo profondamente e credo che abbia sicuramente “formato” il mio modo di osservare la realtà. Cercare una strada nuova partendo dal Neorealismo è in effetti una mia sfida personale. Fellini, poi, è un maestro inarrivabile che ammiro per il suo stile unico. Il mondo del magico, della poesia, dell’incanto mi affascinano da sempre e mi piacerebbe proseguire il mio percorso di ricerca e di esplorazione partendo sempre da grandi interrogativi e temi universali. Le lezioni dei maestri sono preziose nella misura in cui possano riuscire a farmi essere il più sincero e autentico possibile, a farmi trovare un mio modo di raccontare le storie. Ecco, sarei felice se un giorno alla gente bastasse guardare una sola scena di un mio film per dire “questo è un film di Mastromauro”. 

Una scena di Inverno

Raramente si è vista un’opera che riuscisse a fotografare tanto puntualmente lo stato d’animo di un’intera comunità, qui quella circense, catturata in un momento di lutto e dolore proprio mentre nella realtà il mondo dello spettacolo vive uno dei momenti più tragici di sempre. Da dove è scaturita l’urgenza di raccontare questo mondo?

“Il dolore che racconto è reale e affonda le proprie radici nella mia infanzia. Sono nato e cresciuto in una famiglia semplice, dove umiltà e dignità trovavano la loro sintesi perfetta. Cercavo un’ambientazione simile nella sostanza più che nella forma, un luogo e delle persone reali che a livello emotivo mi riportasse indietro nel tempo. Il mondo dei giostrai e dei circensi è così profondo e ricco di umanità che mi sono sentito a casa. Sono grato e riconoscente alle loro famiglie e soffro per quanto stanno attraversando in questo momento. Inoltre il luna park è un luogo fortemente metaforico oltre che pieno di contrasti: tanta gioia e tanta allegria ma anche tanta nostalgia, tante difficoltà che si devono affrontare. I giostrai devono anche dissipare i giudizi della gente. Lo sguardo rivolto a loro è sempre un po’ sospettoso. Spesso sono ritratti come realtà di zingari, di nomadi, anche in senso dispregiativo. Io ho cercato di dare alla comunità dei giostrai e dei circensi la dignità che meritano. 

Giulio Mastromauro

Il finale toccante rievoca una delle canzoni preferite di chi scrive, Pictures of You dei The Cure, un’elegia sulla fine di un’amore. Qui l’amore è quello di un figlio per la propria madre scomparsa prematuramente, altro tema di assoluta attualità in un anno che ha privato numerose famiglie delle proprie radici. Fare questo corto ti ha aiutato nel percorso di elaborazione del lutto?

“Girare questo film è stato un bellissimo regalo che ho concesso a me stesso. E’ stato come viaggiare indietro nel tempo. Ho cercato i ricordi tra le ferite ancora aperte, ho percorso cunicoli bui, ho pianto e avuto paura. Cercavo quel dolore, quel taglio da cui non si guarisce. L’inverno del titolo è proprio questo. E solo alla fine ho inquadrato tutto sotto una luce nuova e da quel momento mi sono sentito sollevato, leggero. Il finale ritrae il bambino che ancora vive in me: piange di nascosto, non vuole disturbare, ma ha una gran voglia di stare al mondo!”

La duplicità del tuo corto è inoltre sottolineata dal titolo in doppia lingua, italiana e greca; purtroppo non conoscendo la tua storia mi chiedo se e in che modo tu sia legato alla cultura greca.

Sentivo che la lingua italiana non era adatta alla storia. Penso che la lingua in un film sia importante tanto quanto i personaggi e i luoghi. Non si deve per forza far parlare l’italiano ai personaggi solo perché si è italiani. Sentivo che il greco era la lingua giusta. Amo da sempre la cultura greca e il suono della lingua, così spigoloso ma allo stesso tempo caldo e familiare. Ma devo a Giulio Beranek, amico fraterno e protagonista del film nel ruolo del papà di Timo, il merito di aver innescato la scintilla. Giulio ha vissuto la sua infanzia in Grecia ed ha aiutato gli altri interpreti a destreggiarsi con una lingua a loro sconosciuta. Sono felice di aver fatto questa scelta perché credo che il greco si addica perfettamente al sentimento di Inverno.”

Una scena di Inverno

Uno dei grandi pregi di Inverno è quello di personificare compiutamente la stagione più fredda, che per chi scrive assume doppiezze e contraddizioni di un personaggio a tutto tondo. Da una parte la malinconia, dall’altra la ricerca di calore che ci ricorda che siamo ancora vivi. Che cosa fa affiorare dal tuo vissuto questo momento dell’anno?

E’ il periodo dell’anno che amo di più ma è anche quello che mi rende sicuramente più malinconico. Ed è il momento in cui il ricordo di mia madre è ancora più vivo e presente in me. Lei ci ha lasciati due mesi prima di Natale. Aveva 35 anni, io 7.  E così cresci e pensi: chissà se io ci arriverò mai a 35 anni? Poi un giorno ci arrivi a quell’età e racconti tutto questo dolore in un film. E guarda caso giri quel film appena compiuti 36 anni. Ecco il perché di quella dedica finale su Inverno, ecco perché per me lei sarà giovane per sempre. 

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