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“Ovunque Cizre, ovunque Resistenza”: nel 2015 il Kurdistan sfida la Turchia negli stadi

Mentre cadono dal cielo le bombe di Erdogan, raccontiamo una storia che è calcio ma è molto di più. E’ la storia di coro cantato a squarciagola, con forza e orgoglio, e di sanzioni e di disobbedienze, di colombe multate perché non autorizzate, di scontri e di partite viste dal palazzo vicino. E’ ieri, perché i fatti sono del 2015, ma potrebbe essere oggi, e purtroppo anche domani. E’ la storia dell’Amedspor e dell’intero calcio curdo. E’ un pezzo di Storia di un popolo che resiste e fiorisce. Come la rosa del deserto. Come quei fiori che crescono sull’asfalto e nonostante tutto stanno lì, fieri, forti ed orgogliosi.

Tempo di lettura: 4 minuti

“Ovunque Cizre, ovunque Resistenza”. Un coro cantato in uno stadio. Non uno stadio qualunque, non in un posto qualunque. Un canto che è stato e che è, mai come oggi, protesta, orgoglio e rabbia. E’ una storia di calcio, e non è banale raccontarla oggi. Perché spesso queste storie entrano nel cuore legate dei rapporti tra gli Stati, tra i popoli, o più semplicemente camminano nel flusso di avvenimenti, più o meno grandi, ma tutti significativi, che compongono la Storia.

E’ Storia quello che oggi sta subendo il popolo curdo – che, per chi avesse memoria corta, è il principale artefice della sconfitta dell’Isis in quella parte di territorio – dimenticato da tutti e vessato – eufemismo – dal governo turco. Non una novità, né la politica aggressiva di Erdogan né la fiera resistenza del popolo curdo. Accade in politica, nelle relazioni internazionali, nella vita quotidiana. Ed è accaduto nel calcio, qualche anno fa. E continua ad accadere, perchè specchio e simbolo di un qualcosa che non ha intenzione di finire.

Amedspor

Ventimila lire turche. Questa la sanzione che la Federcalcio Turca fece arrivare alla squadra Amedspor. Era la fine del settembre 2015. La colpa? Quel coro, gridato con forza e orgoglio in curva durante una partita casalinga. Propaganda ideologica per i vertici del calcio di Ankara, colpa inammissibile per un Paese che dei curdi non riconosce la lingua, che vede l’esposizione di bandiere curde come minaccia all’integrità nazionale. E’ stato quello il culmine, come racconta l’agenzia di stampa Nena News, di un “conflitto” che di calcistico ha ben poco, e che ha visto l’Amedspor rivendicare senza paura le proprie radici.

Parliamo infatti di una squadra che nel campionato di terza categoria della Turchia rappresentava Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco che naturalmente il governo mai ha voluto riconoscere. La svolta – la sfida, in effetti – arriva nel 2014, quando il ‘Diyarbakır Büyükşehir Belediyespor’ diventa Amedspor: inaccettabile per il governo del calcio – e non solo – della Turchia, che vede anche il cambiamento dei colori sociali. Quali? Ovviamente giallo, rosso e verde, i colori del Kurdistan.

Iniziarono a volare le carte bollate verso la squadra, stavolta al posto delle pallottole ma più crudeli, perché discriminatorie. L’Amedspor ha rifiutato in primo luogo di pagare la sanzione monetaria arrivata dopo il cambiamento di nomi e colori sociali, portando così la federcalcio ad abbassare la testa e ad accettare la variazione. Un vero schiaffo alle politiche turche in Kurdistan, che ha di fatto aperto anche il fronte sportivo del conflitto con la Turchia.

Cizrespor

Fu un periodo di grandi gesti pro Kurdistan. L’Amedspor fece da apripista, e iniziò un fiorire di azioni, gesti e prese di posizioni da parte di tifosi e giocatori, a sostegno della resistenza curda e in contemporanea al rinnovato – e oggi tremendamente attuale – interventismo di Ankara contro quel popolo. Era il marzo del 2015 quando due donne, due giocatrici dell’Amedspor vennero penalizzate per aver mostrato il segno della vittoria durante una esultanza. Nell’agosto dello stesso anno arrivò il deferimento per la Batman Petrolspor, squadra di terza categoria della città curda di Batman: era l’inizio del campionato, e colombe bianche andarono a colorare il cielo dello stadio e di quel territorio, a simboleggiare la ricerca di pace viste le violenze di quei giorni. Nobile intento, non per i vertici del calcio turco: non avevano autorizzato quella manifestazione né quel gesto, prettamente politico e dunque inaccettabile.

Un cerchio che si chiude. Siamo partiti dal coro dei tifosi dell’Amedspor, “Ovunque Cizre, ovunque Resistenza”, e a Cizre ci fermiamo. Qui nelle settimane precedenti a quella partita furono numerosi gli scontri tra abitanti e militari turchi. Cizre venne addirittura assediata, e il conflitto passò ben presto sul terreno di gioco, non solo attraverso scontri con le tifoserie di squadre turche ospiti del Cizrespor. E’ il dicembre del 2014 quando lo stadio chiude per paura di scontri. I tifosi locali seguirono la partita dall’alto di un palazzo vicino lo stadio, per poi ritrovarsi faccia a faccia con la polizia. Un’audacia che ovviamente non passò inosservata: la squadra di casa si trovò costretta – la città era in un perenne stato di guerra – ad giocare in una “continua trasferta, prima a Diyarbakir e poi a Sanliurfa.

Amedspor

La Resistenza, come spesso accade, porta con sé anche alleanza inaspettate, ed ecco che i gruppi ultras di alcune tra le più blasonate squadre turche – Fenerbache (Genc Fenerliner), Galatasary (UltrAslan) e Besiktas (Carsi) – scesero in campo a fianco dei curdi attraverso un comunicato con il quale si condannavano le violenze avvenute. Lo racconta ancora Nena News.Già nei mesi precedenti, i tifosi del Galatasary avevano dichiarato la loro vicinanza al popolo curdo”. L’apice venne raggiunto nel dicembre del 2014, quando l’Amedspor scese in campo proprio contro i giallorossi. “Vi amiamo, amiamo colui che vi ama più di tutti”, così recitava uno striscione per Ocalan, simbolo della Resistenza curda e, almeno così pareva, tifoso della squadra di Istanbul. Non la passò liscia neanche l’inno nazionale turco, bersagliato di fischi all’apertura di ogni match del campionato nazionale.

Inevitabile a questo punto il giro di vite di Ankara sul mondo del calcio, con l’inno nazionale che diventava consolidamento dell’idea alla base dell’unità della Grande Turchia e scudo contro le spinte per l’autonomia da parte dei curdi. Calcio come specchio della società, calcio come luogo per ritrovare orgoglio e gridare il proprio senso di appartenenza e di libertà. Allora come oggi una Nazione senza uno Stato è sotto assedio e senza la protezione degli Stati vicini. E mentre quel popolo soffre da anni, non possiamo che sperare. Perché nel calcio e nella Storia, non vincono sempre i più forti. Vincono la tenacia, il talento, la fantasia e il cuore. Ed è la stessa Storia, quella di ieri e quella di oggi, che racconta come in Kurdistan tutto ciò fiorisce e resiste, nonostante la volontà di calpestare tutti questi colori e l’indifferenza da parte di chi, grazie a questi colori, è riuscito a bloccare una tempesta nera e oscura. Cizre ieri, oggi Kobane. E chissà che, anche stavolta, la protesta e l’indignazione non parta, anche, dagli spalti di uno stadio e da un campo di calcio.

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