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Omar Rashid

Cinema

La grammatica che abbatte la quarta parete. Intervista a Omar Rashid

Intervista a Omar Rashid, produttore cinematografico fiorentino che ci parla della sua passione per il cinema e delle sue produzioni in realtà virtuale.

Tempo di lettura: 5 minuti

Intervista realizzata insieme a Vito Piazza

Nel freddo pomeriggio del gennaio fiorentino, via Masaccio è uno snodo non dissimile da altre arterie delle città laboriose. Le auto tornano verso casa. La gente, indaffarata e stanca, si muove indistinta. Le poche luci di natale superstiti suggeriscono un’atmosfera fredda, malinconica. Giunti di fronte al cancello degli studi di Omar Rashid, artista italo-iracheno, il nostro stupore è grande. Gli occhi si muovono confusi, le nostre dita indugiano. Non c’è alcun nome variamente riconducibile a Omar, ma una dicitura che risucchia il nostro sguardo cinefilo, dal font iconico e inconfondibile: “Q. Tarantino”. L’atmosfera non è più malinconica, una sensazione di spaesamento inizia a farsi largo e la realtà pare trascolorare in qualcosa di improvvisamente magico.

È con questo stupore divertito che entriamo negli uffici di Omar, il marchio Gold (non a caso?) giallo e nero ben visibile e lui che, con semplicità, ci accoglie nello studio mettendoci a nostro agio. Lavagne tappezzate di post-it. Fumetti in ogni dove. Schermi, scrivanie ordinate. E la sensazione di essere entrati in un mondo creativo e stimolante, sinonimo di una realtà che in un batter d’occhio può aumentare, cambiare, colorarsi.

Cosa ti ha attratto della VR?

Come mio percorso individuale sono sempre stato attratto da nuovi linguaggi. Ho iniziato da ragazzino a fare i graffiti ed è una cosa che mi sono sempre portato dietro. Ho lavorato anche nel settore dell’abbigliamento creando un marchio, Gold, che viveva molto della sua comunicazione. […] di sticker, un’evoluzione del linguaggio dei graffiti. Ho sempre desiderato essere il primo a testare nuovi linguaggi piuttosto che nuove tecnologie, che da sempre è una mia grande passione insieme al cinema. Nel 2007 con Gold unimmo la tecnologia agli stickers, con delle proiezioni abusive degli adesivi in giro per Firenze. [Prende il cellulare e ci mostra delle proiezioni]. Tredici anni fa era una cosa abbastanza innovativa. Ovviamente non mi ritengo colui che ha inventato gli stickers, li ho soltanto utilizzati in un modo del tutto inedito.

Come nasce il tuo interesse verso la realtà virtuale?

Nel 2013 Gold sviluppò un app di realtà aumentata che funzionava con gli stickers. Inquadrando l’adesivo con il cellulare partiva un gioco a 360 gradi: più punti facecvi, più sconti ottenevi nei negozi che aderivano a questo gioco.

Omar Rashid e Elio Germano
Omar Rashid e Elio Germano

Qual è la differenza tra realtà aumentata e quella virtuale?

La realtà aumentata accresce la realtà mostrando tramite un device la realtà circostante ma con un qualcosa in più che vedi sullo schermo del dispositivo. La realtà virtuale invece annulla i due sensi di vista e udito, “sostituendoli” con un altro tipo di contenuto. Nel 2014 mio cognato, con il quale sviluppai l’app di realtà aumentata, mi fece vedere tramite l’Oculus [un visore per la realtà virtuale indossabile sul viso] una ricostruzione di un qualcosa in 3D. Gli dissi subito: «No, questo non fa per me e non funzionerà mai». Lui insistette e mi mostrò successivamente un porno in realtà virtuale. Capii allora che si potevano girare dei video con questa tecnologia. Comprai subito l’occorrente per lavorare su questo tipo di tecnologia, anche se inizialmente era un disastro a livello tecnico.

Come si gira un video in realtà virtuale?

Dal centro, per esempio di una stanza, si riprende l’ambiente circostante a 360 gradi con tutti i punti cardinali e in quella fase di post-produzione chiamata stiching “ricuci” tutte queste riprese creando una sfera. E’ un procedimento che richiede molto tempo e all’inizio non funzionava neanche bene. Si lavorava con 6 GoPro. Le telecamere di adesso sono già predisposte per fare questa operazione. La post-produzione richiede sempre lo stesso tempo perché l’occhio della macchina non è come l’occhio umano. La particolarità di questa cosa è che si tratta di un linguaggio a sé che riscrive completamente la grammatica del cinema: lo spettatore in questo caso si trova al centro del contenuto e non rivolto verso uno schermo.

Ci racconti del tuo incontro con Elio Germano?

Ho conosciuto Elio Germano grazie alla sua passione per il rap. Lui appartiene al gruppo romano Le bestie rare. Avevo prodotto un documentario sul rap dove era presente anche lui. È stata una delle prime persone a cui ho fatto conoscere questa tecnologia. Lui se ne è subito innamorato, e da lì è iniziata la nostra collaborazione che ci ha portato alla realizzazione di tre progetti. L’ultimo uscirà nei prossimi mesi. Stiamo cercando il palcoscenico giusto per presentarlo.

Uno dei lavori realizzati con Elio Germano, Segnale d’allarme, sta continuando a girare per tutta Italia.

Sì, esatto. Segnale d’allarme è un’esperienza collettiva. Si arriva fino a 60/70 persone che in contemporanea vedono lo stesso film. Non è uno spettacolo così lineare come può sembrare. Però, dal nostro punto di vista, è molto più vicino al cinema di quello che può sembrare. C’è un inizio e una fine e ti puoi guardare intorno, senza interagire, se non guardando. Dal mio punto di vista è più interessante esplorare questo aspetto che andare in altre direzioni che si avvicinano di più al concetto di videogioco. Il rischio da evitare, quando ci si trova davanti a cose non troppo curate, è quello del rigetto da parte del pubblico. Se tu cerchi il cinema, è normale che non ti interessi il videogioco.

In un’intervista hai affermato che per te la realtà virtuale è un’esperienza sociale, simile al cinema degli esordi.

È la mission che ci siamo dati con Elio. Questo linguaggio nasce principalmente per il mondo dei videogiochi e per la fruizione individuale. Proprio perché c’è la possibilità di creare visioni collettive, come stiamo facendo con lavori diversi nostri, si va a creare il dibattito al termine del film. Se il contenuto, come in Segnale d’allarme, porta il pubblico a voler discutere, nasce subito il dibattito.

Omar Rashid
Omar Rashid

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Ho appena terminato di realizzare un altro lavoro dal titolo Firenze VR, con protagonisti personaggi famosi di Firenze come Federico Russo e Maurizio Lombardi. Sarà visibile sull’app Rai VR tra non molto.

Secondo te è indispensabile avere un bagaglio cinematografico per realizzare i film in realtà virtuale?

Voglio prima di tutto ribadire una cosa: a me piace di più il cinema normale. Detto ciò, secondo me ci si può cimentare anche da zero. Ripeto, sono due linguaggi diversi. I registi che hanno sempre lavorato in film “normali”, devono essere consci che girando un film in VR non è possibile utilizzare la tecnica, ad esempio, del campo-controcampo. Bisogna che la storia sia pensata già per la tecnica del VR. Il tipo di lavoro che faccio io è quello di cercare contenuti adatti a quel linguaggio e di trovare storie che possano portare lo spettatore in luoghi inaccessibili.

Quali sono le tue passioni cinematografiche?

Sicuramente Tarantino, Hitchcock. Fra quelli attuali adoro Villeneuve, Lanthimos, Mel Brooks, che ha condizionato tantissimo il mio lavoro. Mi piace molto il cinema ironico e anche quello di suspense.

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