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Venezia77

Cinema

Venezia77: dolori e gioie di un’edizione molto rosa

A Venezia77 una nutrita schiera di autrici: da Susanna Nicchiarelli con Miss Marx a Jasmila Žbanić con Quo vadis, Aida?, passando per Gia Coppola con Mainstream e The World to Come di Mona Fastvold.

Tempo di lettura: 5 minuti

Venezia77 sarà ricordata come un’edizione sui generis. In un’annata a dir poco disastrosa, il direttore artistico Alberto Barbera ha realizzato un mezzo miracolo a livello organizzativo, riuscendo a realizzare il primo vero, grande appuntamento cinematografico del mondo in presenza. Ma se la (presa di) forma ha del miracolistico, il contenuto si è rivelato un po’ inconsistente. La scelta dei film si è ragionevolmente indirizzata verso ciò che di migliore – ma soprattutto di pronto – le produzioni avevano da offrire nel momento cruciale della selezione. La candida ammissione di Barbera («L’ottanta per cento dei film che mandano non sono all’altezza dei festival») lasciava già ben poche speranze a coloro che si apprestavano a entrare in sala, orfani dei blockbuster americani e vittime di qualche illustre rifiuto.

Per me, che sono riuscito a presenziare solo per quattro giorni, Venezia77 ha rappresentato due aspetti emotivi, prima ancora che cinematografici. Da un lato l’emozione per un nuovo “primo appuntamento”, dopo oltre 6 mesi di esilio forzato dalla sala. Dall’altro, il disincanto proprio del cuore anziano, che sa benissimo quanto siano difficili questi primi appuntamenti, che presagisce le difficoltà nel ritrovarsi alla prima occhiata. Anche se il Festival è pur sempre il Festival. Anche se, finalmente, la presenza femminile è stata copiosa.

Il caso Miss Marx

Preferisco partire con le note dolenti di Venezia77. Miss Marx, firmato da Susanna Nicchiarelli, dal punto di vista stilistico mostra forti assonanze con Marie Antoniette (2006) di Sofia Coppola. Due protagoniste diversamente tragiche, le loro, ma ugualmente iconiche. Come la Coppola, la Nicchiarelli ritrae Eleanor Marx, figlia del celeberrimo filosofo tedesco, nel profondo e dolente scarto tra funzione pubblica e privata. I frequenti intermezzi di musica rock e contemporanea contribuiscono a ritinteggiare l’affresco storico-biografico con un tono emotivo/musicale che rende sincretica la narrazione. L’operazione di Miss Marx non è quindi né coraggiosa né particolarmente innovativa.

Romola Garai nei panni di Eleanor Marx
Romola Garai nei panni di Eleanor Marx

L’accostamento tra gli operai e le donne, la più oppressa delle “classi” (?), è il nocciolo teoretico di Miss Marx. Nonostante la prevedibilità di queste premesse, l’esplicitazione arriva dopo un tempo eccessivo, spesso male impiegato. Penso, ad esempio, ai diversi flashback che mostrano l’infanzia di Eleanor, trascorsi col padre Karl e del suo fraterno amico Engels. Flashback che non aggiungono nulla al personaggio, che appesantiscono la narrazione aumentandone la disorganicità. Un passo indietro dunque, per la Nicchiarelli, rispetto a Nico – 1988, meno didattico ma decisamente più riuscito.

È tutto rosa quel che luccica?

Anche The World to Come, altra pellicola interamente in rosa firmata da Mona Fastvold con protagoniste Katherine Waterston (Vizio di forma), Vanessa Kirby e Casey Affleck, fatica molto a tenere il livello festivaliero. La storia è quella di un contrastato amore tra due donne negli U.S.A. di metà ‘800, e richiama a grandi linee le atmosfere de I segreti di Brokeback Mountain (Ang Lee, 2005). Il dramma amoroso si dipana sullo sfondo di paesaggi mozzafiato, anche se il sentimento panico uomo (donna)-natura è blandamente accennato. Anche in The World to Come il nocciolo della questione sentimentale si svela in maniera del tutto prevedibile, e anche molto sbrigativa. Sappiamo già cosa succederà, e ciò che accade ricalca esattamente le aspettative. Violenze, repressioni, silenzi colpevoli di mariti religiosamente abietti. Tutto questo contorna una trama scarna, enormemente appesantita dall’estenuante verbosità di un racconto basato sulla voce-off della protagonista, impegnata nella stesura del proprio diario.

Katherine Waterston e Vanessa Kirby in una scena tratta da The world to come
Katherine Waterston e Vanessa Kirby in una scena tratta da The world to come

Ci sarebbe ben poco da dire su Amants. Il mediocre dramma di Nicole Garcia racconta la noiosissima storia di due amanti che, nonostante le traversie della vita, finiscono sempre, a tratti incredibilmente, per ritrovarsi. I protagonisti sono una fantasmatica Stacy Martin e un irriconoscibile Benoît Magimel (lontano anni luce dal fascino, pur acerbo, de La pianista di Haneke). La storia, l’intreccio, la fotografia e la recitazione sono di un grigiore monolitico, ai livelli di un qualunque film da prima serata di una qualunque tv generalista. Nemmeno gli esili snodi narrativi riescono a destare lo spettatore. A questo punto mi chiedo: se Amants è entrato a far parte del concorso di Venezia77, a cosa è stato costretto il povero Barbera durante il martirio della selezione? Lo confesso: lo immagino costretto a sedute simili a quelle patite dal nostro affezionatissimo Alexander DeLarge.

Il rosa più acceso di Venezia77

Se non è proprio tutto oro quel che luccica, sotto l’etichetta dell’auspicata parità di genere in termini di rappresentanza in concorso, è pur vero che film come Quo vadis, Aida? ripaga di molti sacrifici. Jasmila Žbanić (Orso d’Oro per il suo lungometraggio d’esordio, Il segreto di Esma, nel 2006), firma un film duro, dinamico nei ritmi e recitato in maniera sopraffina. La vicenda riguarda l’eccidio di Srebrenica avvenuta nel luglio del 1995, quando le truppe del generale Ratko Mladić uccisero più di ottomila uomini e giovani ragazzi bosniaci prelevandoli da una zona protetta dall’Onu. La Žbanić focalizza il racconto su Aida, un’interprete del campo base dell’Onu che prova di tutto, pur di salvare il marito e i suoi due figli.

Jasna Đuričić in una scena tratta da Quo vadis, Aida?
Jasna Đuričić in una scena tratta da Quo vadis, Aida?

Nessuna retorica né moralismo traspaiono dalle riprese asciutte ed essenziali, precise e decise come colpi di mitra. Donna e madre, Aida si ritrova nel mezzo del caos esattamente come i suoi concittadini, in una guerra tra poveri per restare in vita a dispetto di ogni regola e procedura. Sono tanti i pregi di Quo vadis, Aida?. La recitazione straripante di Jasna Đuričić, che dice tutto con lo sguardo. Una narrazione serrata, condotta con occhio imperturbabile (ma non emotivamente distaccato) verso il tragico climax. Una serie di soggettive e semisoggettive sempre azzeccate, condite da fuoricampo più che poetici. È in questi ultimi due aspetti che Quo vadis, Aida? echeggia Il figlio di Saul (Nemes, 2015).

La sorpresa: Gia Coppola

Chiudiamo la rassegna in rosa di Venezia77 con un film della sezione Orizzonti, Mainstream. Secondo lungometraggio di Gia Coppola (nipote di Franci-Ford), il film è una disamina impietosa sul mondo e sulla generazione dei social media. La protagonista, Maya Hawke, veste i panni di una ragazzina che in seguito a un incontro casuale con un coetaneo diventa autrice di video su Youtube. La loro coppia si trasforma in un triangolo amoroso, allorchè il numero delle visualizzazioni genererà profitti e impensabili responsabilità.

Una scena tratta da Mainstream
Una scena tratta da Mainstream

Il film della Coppola è targettizzato sul segmento teen solo in apparenza. Lo è, ad esempio, nello stile ancora acerbo delle riprese, come nelle sovrimpressioni un po’ scolastiche e fin troppo didascaliche, fino ai limiti del sopportabile. Eppure il film non si presta a una facile catalogazione, perchè anche dietro questi peccati di gioventù, si respira aria di una scrittura più che accettabile. E che, soprattutto, ha l’enorme pregio di chiamare in causa tutti gli utenti dei social, dai più giovani ai più cresciuti. Se esiste un perverso meccanismo della visione, e se tutto è spettacolo, esiste qualcuno che non sia complice di questo meschino gioco?

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