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Una scena di Belfast

Cinema

Belfast, è stata la mano di Branagh 

Il film diretto da Kenneth Branagh e candidato a 7 premi Oscar è sentito e girato col cuore. Basta questo per farne un bel film? Probabilmente no.

Tempo di lettura: 4 minuti

Solo pochi mesi fa Paolo Sorrentino raccontava uno spaccato preciso della sua vita, quello dell’adolescenza, in È stata la mano di Dio. Un periodo cruciale dove grazie (e purtroppo) a certe esperienze traumatiche e a incontri fondamentali, iniziava a formarsi il Sorrentino adulto. Poco più tardi il cinema ci offre un altro racconto che ricalca a grandi linee quanto messo in atto da Sorrentino. Questa volta, però, non ci sono Capuano, munacielli e zie prosperose nel percorso di formazione del protagonista, bensì rivolte, scontri e molotov. Non c’è Napoli, ma la città di Belfast – che dà anche il titolo al film – a fare da sfondo alla storia semi-autobiografica (ecco un altro dei tanti punti di incontro con il film di Sorrentino) diretta da Kenneth Branagh e candidata a ben 7 premi Oscar.

Belfast, Buddy e i Troubles

È il 1969 e in una delle tante vie della città del nord dell’Irlanda convivono pacificamente protestanti con cattolici. La convivenza pacifica, però, non dura ancora per molto: alcune frange violente di protestanti iniziano a non tollerare più la presenza dei cattolici nella città e per questo motivo danno il via a una guerriglia urbana fatta di esplosioni e scontri a fuoco. È l’inizio dei così detti Troubles, che si procrastineranno nel tempo per intere decadi.
Protagonista indiretto di questa guerriglia è il piccolo Buddy, che neanche arriva a 10 anni e che ancora non comprende a fondo i motivi di questa guerra. A Buddy non manca niente: ha l’affetto dei suoi nonni, ha due genitori – bellissimi – che lo coccolano e lo proteggono, ha un fratello con il quale va d’accordo, un rendimento scolastico che migliora giorno dopo giorno e una compagna di banco a cui fa il filo.

Jude Hill
Jude Hill in una scena di Belfast (2021)

Crescere, diventare adulti, maturare in un contesto del genere metterebbe chiunque a dura prova. Buddy, però, combatte, o per meglio dire resiste a tutto ciò lasciandosi trasportare dalla magia del cinema (ed eccoci, nuovamente, a Sorrentino), che guarda con occhi pieni di incanto e stupore. Ed è proprio il cinema – se togliamo le brevissime sequenze iniziali e finali sulla Belfast di oggi – che concede le uniche sequenze a colori del film girato interamente in un bianco e nero di nitido e luminoso.

Non basta il (proprio) sentimento per fare un bel film

Kenneth Branagh – ancora nelle sale con l’altro suo film, Assassinio sul Nilo – ha scritto Belfast durante il primo lockdown di restrizioni. L’ha scritto, pare, tutto d’un getto. Di solito, si scrivono in così poco tempo opere che si hanno addosso sulla pelle da tempo, che fanno parte del proprio DNA. Il poco tempo non è tanto dettato dall’urgenza del racconto, quanto dalla naturalezza con il quale esso viene trasformato in parole e poi, in questo caso, in immagini. E vedendo Belfast tutto questo si percepisce. Branagh gira con estrema naturalezza la sua storia – che poi è anche la storia di tanti altri, che nasce personale per diventare universale. La filma ad altezza bambino, e quindi è come se la guardasse con quegli occhi innocenti e ingenui. Insomma, Belfast è un film sentito, girato col cuore. Basta questo per farne un bel film? Probabilmente no.

Jamie Dornan e Jude Hill
Jamie Dornan e Jude Hill

La dichiarazione d’amore di Branagh al suo paese è costellata anche di diverse furberie. Nessuno mette in dubbio che da piccolo il cinema facesse parte della sua vita, così come la tv (che trasmetteva sempre e soltanto film), mentre sembra un po’ una forzatura l’inquadratura di Buddy che legge il fumetto di Thor, film che poi, diversi anni dopo gli eventi narrati, Branagh dirigerà.
Il film avrebbe acquistato maggior vitalità se si fosse sporcato le mani un po’ di più. Invece sembra tutto così troppo perfetto – e tutto il comporto tecnico lo è per davvero – che il risultato appare a tratti freddo e a tratti stucchevole. Gli attori, quelli sì che sono bravi (e qui viene fuori il Branagh teatrale). Jamie Dornan (il padre di Buddy) si scrolla finalmente di dosso le 50 sfumature e mette in scena la prova della sua definitiva maturità; di Caitríona Balfe (la madre) il cinema avrebbe più bisogno e forse questo film la lancerà definitivamente nell’olimpo delle star. Judi Dench e Ciarán Hinds, i nonni, sono una coppia semplicemente formidabile.

Una scena di Belfast
Una scena di Belfast (2021)

Forse Belfast paga lo scotto di essere venuto dopo gli ottimi lavori di Cuaròn (Roma) e del già citato Sorrentino (per non andare a ripescare l’Amarcord di Fellini). Non riesce a replicare quello che i due film appena citati hanno completamente centrato: essere al contempo epici nella loro portata e intimi come una carezza.

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Belfast
trama: Le vite di una famiglia operaia e del loro giovane figlio, cresciuto durante il tumulto degli anni ’60 nella capitale dell’Irlanda del Nord.
regia: Kenneth Branagh
sceneggiatura: Kenneth Branagh
con: Jamie Dornan, Jude Hill, Caitriona Balfe, Judi Dench, Ciarán Hinds, Lara McDonnell, Gerard Horan, Turlough Convery, Conor MacNeill, Bríd Brennan, Gerard McCarthy, Sid Sagar, Zak Holland, Barnaby Chambers, Olive Tennant, Josie Walker
durata: 98 minuti
uscita: 24 febbraio 2022


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