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Tutto il mio folle amore

Cinema

L’emozione in uno sguardo: una scena di Tutto il mio folle amore

La scena al ristorante di “Tutto il mio folle amore” di Gabriele Salvatores ci dimostra ancora una volta come il regista partenopeo sappia usare con maestria la macchina da presa

Tempo di lettura: 3 minuti

Gabriele Salvatores forse non resterà nella storia del cinema (anche se negli annali rimarrà il suo Oscar per “Mediterraneo”), forse non sarà accostato ai grandissimi del cinema italiano e forse potrà non piacere a tutti. Ma è fuori discussione che il regista partenopeo sappia usare la macchina da presa in modo eccellente e conosca perfettamente i meccanismi del cinema. Di conseguenza, sa come creare un’emozione e lo dimostra anche in Tutto il mio folle amore.

In “Tutto il mio folle amore”, va particolarmente sul sicuro con una storia già di per sé toccante: un ragazzo autistico (ma la malattia specifica nel film non viene mai menzionata) scappa con il padre naturale che lo aveva abbandonato alla nascita. Dopo una fase iniziale di conoscenza, il ragazzo (uno straordinario esordiente: Giulio Pranno) e il padre (un eccezionale Claudio Santamaria) si fermano in un ristorante per mangiare. Tra i due, soprattutto nel padre c’è una certa tensione e una lieve insofferenza.

Giulio Pranno e Claudio Santamaria in una scena di Tutto il mio folle amore

Vincent, il ragazzo, si limita ad ordinare “PA-TA-TE” e a ripetere la parola in modo ossessivo, mentre sposta oggetti sul tavolo in modo apparentemente caotico. I due vengono inquadrati da fuori il locale, attraverso una finestra, una specie di quadro all’interno del quadro cinematografico, quasi una meta-inquadratura. Ma subito dopo ci si avvicina prepotentemente, con un controcampo: la finestra dava un senso di distacco, lo spettatore sembrava stesse a guardare, o spiare, la scena, mentre subito dopo, con il controcampo, viene invitato a partecipare e a condividere il momento padre-figlio.

Will, o Willipoi come lo chiama Vincent, guarda il figlio incuriosito ma anche insofferente ai movimenti caotici del ragazzo. Lo chiama per nome: “Vincent” e il ragazzo ripete la frase che è abituato a dire (probabilmente in caso si fosse perso): il suo nome, il suo cognome la data di nascita, il nome della madre e quello del padre adottivo. È una frase che Vincent ripete spessissimo, anche in questo caso in modo quasi ossessivo, ma questa volta il finale cambia: aggiunge “Tu ti chiami Willipoi”, coinvolgendo improvvisamente il padre naturale nella sua vita, ammettendolo nella sua cerchia ristretta. E dopo una brevissima pausa ad effetto aggiunge “E sei il mio papa” (senza accento).

Giulio Pranno e Claudio Santamaria in una scena di Tutto il mio folle amore

Willi però è scocciato perché fa ancora fatica ad entrare in sintonia con il figlio e lo mette sotto pressione chiedendo se fosse stata la madre a dirgli che lui era il padre e poi gli chiede di guardarlo negli occhi, cosa che Vincent è restio a fare. Dopo una faccia sconsolata di Santamaria la camera stacca su Pranno e in quel momento comincia il cinema e l’esperienza di Salvatores nel costruire le scene.

Pranno guarda effettivamente dritto negli occhi di Santamaria e gli dice: “Willipoi… Vincent bravo… con papà” (con l’accento) e nello stesso momento una lieve musica extradiegetica parte in sottofondo e il vento comincia a soffiare nel ristorante mentre la macchina da presa resta ferma sul sorriso di Vincent. Con l’aumentare del vento, che porta cambiamento, aumenta anche il volume della musica che si prende tutta la scena. La scena si conclude con una carrellata al ralenti mentre la macchina da presa si avvicina ai due, seduti uno di fronte all’altro e il vento che soffia.

Il vento che soffia simboleggia l’arrivo del cambiamento: i due personaggi hanno in qualche modo trovato un’intesa; e lo spettatore fa lo stesso percorso del vento: si avvicina ai personaggi da una prospettiva diversa e con loro è partecipe di questo cambiamento. L’emozione che Pranno/Vincent esprime, semplicemente alzando lo sguardo e fissando l’interlocutore è la nostra emozione: l’emozione di aver trovato un’intesa e contemporaneamente una nuova sfida. Di tutta la scena, è protagonista Vincent, e noi ci immedesimiamo più con lui e con la sua voglia di costruire un rapporto, piuttosto che con il genitore. La voglia di mettersi in gioco, la voglia di avventura, la consapevolezza del ragazzo non possono non colpire e attrarre, e in quello sguardo ci sono paura e determinazione (oltre alla bravura di un attore), sottolineate perfettamente dai movimenti della macchina da presa e dalla regia.

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