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La caduta dei giganti

Un piccolo accenno sull’attuale situazione in NBA. Cause, soluzioni e possibilità di ripresa al di là dell’Atlantico dopo la diffusione del COVID-19.

Tempo di lettura: 3 minuti

Dove eravamo rimasti?

12 marzo 2020. Alla Chesapeake Energy Arena di Oklahoma City si affrontano due squadre di vertice della Western Conference, da una parte gli Utah Jazz e dall’altra i padroni di casa, gli Oklahoma City Thunder.
I due quintetti sono già in campo, l’arbitro ha il pallone tra le mani per la palla a due e 18mila persone sulle tribune sono pronte ad assistere ad uno degli spettacoli più belli del mondo, una partita del campionato di basket NBA. A pochi istanti dall’inizio dell’incontro, però, trapela un’indiscrezione, che ben presto diventa notizia. Lo speaker ufficiale dei Thunder, con una calma glaciale, la dirama al pubblico: “La partita di stasera è stata rinviata”.
Nelle ore successive si saprà la verità, che tutti si aspettavano, ma a cui nessuno voleva credere: Rudy Gobert, centro degli Utah Jazz e della nazionale francese, è risultato positivo al coronavirus, il primo caso ufficiale all’interno della Lega. Il giorno seguente l’NBA annuncia, tramite i suoi profili social, la sospensione della stagione a tempo indeterminato, un dardo al cuore per tutti gli amanti di questo sport.

Non è certamente la prima volta nella storia della Lega in cui una stagione viene “mutilata”, basti pensare alle due stagioni del Lockout (1998/99 e 2011/12), ma ciò che distingue questa sospensione dalle altre è che mai si era interrotta la stagione per un motivo di sicurezza sanitaria nazionale. A quasi due mesi dalla data dell’ultimo incontro disputato, la situazione è quanto mai complicata e poco chiara, sebbene il commissioner Adam Silver abbia da sempre dichiarato la volontà di riprendere e portare a termine la stagione.

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Attualmente l’ipotesi più accreditata per la ripartenza in sicurezza e nel rispetto della salute pubblica sarebbe quella di disputare le partite delle 30 franchigie in unica sede, cercando di isolare i giocatori e i membri degli staff da persone potenzialmente infette, con i tamponi che giocheranno un ruolo centrale nel garantire la stabilità della Lega. Tante sono le città che potrebbero candidarsi per ospitare in blocco l’intero sistema NBA, ma attualmente tutti gli indizi portano a Las Vegas, avvantaggiata dal fatto che già durante la stagione estiva ospita la Summer League.

Un fattore che però potrebbe complicare la ripresa, è l’enorme numero di partite che, almeno teoricamente, dovrebbero ancora essere disputate.
Si parla di numeri da capogiro, oltre 259 partite solamente per concludere la stagione regolare, a cui ovviamente si andrebbero a sommare le lunghe e dispendiose serie dei playoff. Proprio per questo motivo, alcuni addetti ai lavori hanno proposto di prendere per buona l’attuale classifica e di disputare solamente i playoff, col fine di diminuire il numero delle partite e di conseguenza le possibilità di creare un focolaio. È facilmente intuibile come questa ipotesi abbia fatto infuriare le franchigie che stavano lottando per un posto all’interno delle 16 contendenti, ma come già detto la situazione è critica: tutti vorremmo delle risposte che nessuno è in grado di dare.

In conclusione, è giusto ricordare che qualsiasi strada si voglia percorrere, necessita della massima prudenza considerando la situazione drammatica in cui sta versando il popolo americano, con oltre 1 milioni di casi accertati e 70mila decessi. Tutti gli appassionati vorrebbero che il campionato riprendesse, vorrebbero tornare a emozionarsi, a saltare sulla sedia per una giocata incredibile di Lebron, a rimanere a bocca aperta per una tripla di Curry da distanza siderale o a essere scioccati dalla forza di una schiacciata di Williamson. Ci sarà tempo per godersi di nuovo questo spettacolo, ma non oggi; oggi dobbiamo pensare alla salute della comunità e alla salvaguardia delle fasce più fragili della popolazione.

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