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Anniversari

Ritorno al futuro, quando la nostalgia diventa culto

Usciva nelle sale americane il 3 luglio 1985 Ritorno al Futuro, primo capitolo di una trilogia cult.

Tempo di lettura: 3 minuti

Probabilmente, se chiudessi gli occhi sarei in grado di far scorrere nella mia mente tutte quelle immagini, tutti quei dialoghi, tutte quelle battute iconiche.

Alzi la mano un solo fan della serie che non abbia usato nella vita reale una a caso delle mille frasi che avremo per sempre scolpite nella memoria: chi non ha mai apostrofato un amico con un “Ehi tu porco levale le mani di dosso”, o redarguito qualcuno perché non stava pensando quadrimensionalmente?

Tutti almeno una volta abbiamo esclamato Grande Giove (o Bontà divina… maledetto doppiaggio), a volte come moto spontaneo di stupore, altre con l’ambizione di poter imitare Doc, altre ancora con la speranza che la tua piccola utilitaria possa riportarti indietro nel futuro appena toccate le 88 miglia orarie. E se non siete mai andati a parlare con una ragazza che vi piace dicendole che era il delfino ad avervi uniti o se non vi è mai venuto in mente di mettere su un gruppo rock solo per poter suonare qualcosa che dà la carica, beh, amici miei, non sapete cosa vi siete persi.

Chi non ha mai sognato di restare coinvolto in una di quelle azioni che alterano il continuum tempo spazio, in uno di quei paradossi temporali il cui risultato potrebbe provocare una reazione a catena che scomporrebbe la stessa tessitura del continuum tempo-spazio distruggendo l’intero universo, come ipotesi più pessimistica, quando invece la distruzione potrebbe essere molto circoscritta e limitata alla nostra galassia? Lo so, siamo sul pesante, eh!

Chi non ha mai, almeno una volta, una sola, esclamato con protervia “Strade? Dove stiamo andando non c’è bisogno di strade!” mentre era al volante pronto a partire?
Vi sfido tutti a dimostrare il contrario. Cosa siete, dei fifoni? Se è vero che nessuno, nessuno, può chiamarvi fifone… dimostratelo.

È un po’ il simbolo perfetto degli anni ’80 a stelle e strisce Ritorno al futuro. C’è la nostalgia di ciò che si è stati e la speranza per ciò che si potrà essere, filtrati attraverso l’ottimistico messaggio tipicamente anni ’80 dell’uomo come artefice del proprio destino, il self made men, quel “ se ti ci metti con impegno raggiungi qualsiasi risultato” che Marty regala come insegnamento di vita al padre nel 1955 e che vedrà a sua volta recapitarsi al suo ritorno nel 1985.

C’è probabilmente una rappresentazione fin troppo edulcorata dell’America degli anni ’50, con la sua supposta innocenza, la sua apparente pulizia morale, la sua pudicizia di facciata, ma è funzionale alla narrazione nostalgicamente romantica che Zemeckis aveva in mente, che a sua volta, indirettamente, finiva per riaffermare con forza la centralità, la “superiorità” della cultura Americana in generale e sopratutto anni ’80, in un ultimo ansiogeno afflato di Guerra Fredda.

E tutto questo pare funzionare alla perfezione sopratutto nel primo capitolo della saga, certamente il più riuscito, per originalità, per esecuzione, per armonia.
Alla fine resta il piacere puro dell’immaginazione, del sogno di poter viaggiare nel tempo, cambiare il corso degli eventi passati, sbirciare il futuro senza esser visti, unitamente al gustoso ricordo di ciò che il passato ci ha regalati.

Perché se è vero che il passato ci ha resi gli uomini che siamo, è anche vero che il futuro non esiste, o come dice Doc a Marty e Jennifer, alla fine del terzo capitolo, “non è ancora stato scritto, quello di nessuno. Il vostro futuro è come ve lo creerete. Perciò createvelo buono, tutti e due”. In attesa di poter, tutti, ritornare al futuro.

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