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Cast di Luna Nera

Serie Tv

Perché le serie italiane di Netflix continuano a deludere?

Luna Nera è la terza produzione italiana targata Netflix in fatto di serie tv. Nessuna, però, è riuscita ancora a lasciare il segno. Quali sono i problemi?

Tempo di lettura: 4 minuti

Venerdì 31 gennaio il catalogo di Netflix ha accolto la terza serie tv originale italiana, Luna Nera. C’era molta attesa attorno a questa serie, vuoi per un genere che produttori e sceneggiatori italiani hanno quasi sempre snobbato – il fantasy – vuoi perché il team autoriale e registico, nonché buona parte del cast, è composto esclusivamente da donne, caso più unico che raro nel nostro paese. Luna Nera parla di donne, accusate di essere streghe, che cercano un modo per difendersi dalla prevaricazione degli uomini. Siamo nell’Italia del Seicento, ma il messaggio si sposa benissimo anche con i nostri tempi, quelli delle lotte del movimento femminista e del #MeToo.

Tutto molto interessante sulla carta. Peccato, però, che alla visione questi buoni propositi siano venuti meno. Luna Nera è una serie scritta male e recitata peggio. Gli effetti speciali, considerato il budget, non sono neanche poi così male. Ma ciò che manca è una penna capace di dare profondità e spessore a personaggi molto, troppo monodimensionali. Alcuni persino ridicoli. Si poteva e si doveva fare di più. Sì, perché Luna Nera aveva tutte le carte in regola per segnare una svolta riguardo alle produzioni originali Netflix italiane. Suburra – La serie e Baby, le prime due, hanno lasciato i più, compreso il sottoscritto, con l’amaro in bocca.

Luna Nera serie italiana Netflix

Tutte e tre le serie italiane Netflix devono fare i conti con gli stessi problemi, che tranquillamente possiamo definire come difetti. Quali sono? La scrittura è il primo. Un famoso regista italiano una volta disse che le tre cose più importanti in un film sono la sceneggiatura, la sceneggiatura e la sceneggiatura. Come dargli torto? Senza una buona sceneggiatura, si va da poche parti. E questo si può benissimo applicare anche alla serialità televisiva. Dei primi due episodi di Suburra – La serie ne parlavo così poco più di tre anni fa:

“I primi due episodi sono confusionari, ci presentano i tanti protagonisti della serie in modo sciatto e frettoloso. Sembra di trovarsi di fronte ad una delle peggiori fiction televisive italiane, tanto da rimanere allibiti dalla serie di cliché propinati uno dietro l’altro.” (da Intrattenimento.eu)

E’ vero che poi con il passare degli episodi la serie un po’ migliora, ma non riesce mai ad arrivare a quel livello di intensa drammaticità messo in scena magistralmente da una serie analoga come Gomorra nel corso di, fin qui, quattro stagioni. Con Baby, invece, la situazione è ancora più drammatica perché si riesce a salvare poco e niente della scrittura degli episodi. La serie non riesce mai ad essere pungente come dovrebbe. E’ un teen drama eccessivamente melodrammatico, dove il macrotema trattato – la prostituzione minorile – è pervaso da una fastidiosa patina moralista e mai scabrosa e torbida come avrebbe dovuto essere.

Una scena di Suburra la serie

L’altro problema, non di poco conto, è la recitazione. E pensare che in Italia di attori bravi ne abbiamo eccome. Anche nelle tre serie Netflix prese in esame ce ne sono, di attori capaci. Ad onor del vero c’è anche da dire, però, che talvolta è il personaggio da essi interpretato che non rende giustizia al loro talento (vedi l’Aureliano di Alessandro Borghi in Suburra). La recitazione in queste produzioni italiane è spesso enfatizzata, urlata o finanche troppo sussurrata. Prendiamo proprio le due protagoniste di Baby: entrambe, con la loro interpretazione, si fermano alla superficie dei loro personaggi, senza quasi mai riuscire a far trasperire emozioni e turbamenti. Lo stesso dicasi per gli adulti (genitori, professori, clienti, ecc.) che gravitano attorno a queste ragazze.

In tempi in cui la serialità televisiva ha ormai eguagliato, se non in alcuni casi superato, la settima arte – fermo restando che sono e devono essere due cose distinte, diverse – è lecito aspettarsi molto di più da Netflix. Sky Italia con Gomorra, prima, e The Young Pope, poi, ha provato, vincendo, a tracciare una strada ben delineata. Lo ha fatto persino Mediaset, ultimamente, con due serie di “rottura” con la tradizione come Il processo e Oltre la soglia (sono state entrambe due flop, ma qui ci sarebbe da aprire un discorso di tipo diverso. Canale 5 è una rete dove la voce grossa la fanno i programmi di intrattenimento. Il telespettatore medio, abituato a ciò, quando trova qualcosa di diverso, purtroppo, cambia canale).

Il cast di Baby

Sembra invece che la divisione italiana del gigante dello streaming non abbia una ben precisa linea editoriale; che proceda un po’ alla cieca, insomma. All’ottima Ilaria Castagnoli, neo assunta nel team, il compito di dare lustro. Perché è il momento che anche l’Italia sforni la sua serie cult Netflix, alla stregua di ciò che è successo in Inghilterra con Sex Education e The End of The F***ing World (ma potremmo citare anche lo splendido The Crown) così come in Spagna con La casa di carta, diventati nel giro di breve fenomeni globali.

In bocca al lupo.

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