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Nel corso del tempo

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Nel corso del tempo: il viaggio nei traumi europei di Wim Wenders

“Nel corso del tempo”, il viaggio di Wim Wenders nei traumi europei.

Tempo di lettura: 5 minuti

Nel corso del tempo è un film di Wim Wenders uscito nelle sale il 4 marzo del 1976, esattamente 45 anni fa. Si tratta di un road-movie in bianco e nero ambientato in una Germania ancora divisa tra Repubblica Federale e Democratica, e che vede due uomini – Bruno, il proiezionista, e Robert, un pediatra esperto di linguaggio – incontrarsi casualmente e farsi compagnia per un certo tratto di strada.

Il” road movie formato europeo

Viene in mente istintivamente il classico Easy Rider, di sette anni più vecchio: anche il film di Hopper era un road-movie al maschile, e lo stesso Hopper insieme a Peter Fonda giravano gli States sui loro choppers, con lo spassoso monologo sugli Ufo di Jack Nicholson-George come un’epifania notturna destinata a lasciare traccia nella storia del cinema. Nel corso del tempo cita a suo modo il film.

Un'immagine tratta da Nel corso del tempo
Un’immagine tratta da Nel corso del tempo

C’è una moto biposto molto tedesca, che accompagna una delle scorribande di Bruno e Robert, e anche qui compare un importante monologo notturno di un personaggio, incontrato da Robert casualmente. Ciò che egli dice, in particolare «La morte non esiste, esiste solo la vita», verrà poi citato più avanti nel film da Bruno, a testimonianza della sua importanza. La frase ha il sapore di un esorcismo, il tentativo di negare e quindi allontanare da sé una realtà che invece lascia evidenti tracce di sé.

Azione vs gesto: storia tedesca e storie personali

L’uomo, infatti, la morte l’ha vista in faccia poche ore prima, e così l’intera Germania, che non si è ancora liberata da ciò che è successo poco più di trent’anni prima. Un inquietante trofeo da luna park con una candela sopra la testa di Hitler, nera e di dimensioni grottescamente grandi rispetto a ciò che sostiene, viene vinto da una donna con cui Bruno flirta poi in un cinema. Ciò mostra che l’abisso che il Terzo Reich ha lasciato è ancora vivo, sebbene si tenti di seppellire quel retaggio attraverso un’apparenza ludica. Questo tentativo di superamento del trauma, però, non è certo di forma, ma di sostanza. Il filosofo Giorgio Agamben sottolinea in un suo libro (Karman, breve trattato sull’azione, la colpa e il gesto, 2017) la differenza tra azione e gesto. Mentre l’azione sarebbe costitutivamente legata ad un’imputabilità soggettiva e quindi inscritta nel suo fine attraverso il ricorso alla volontà della persona che la mette in atto, il gesto corrisponderebbe ad un fare sottratto a questa dinamica preordinata per restituire all’uomo la sua potenza creativa, lontana dalla cappa mortifera della colpa e del fine esterno ad esso, poiché il gesto si caratterizza appunto per essere fine a sé stesso.

Un'immagine tratta da Nel corso del tempo
Un’immagine tratta da Nel corso del tempo

Di gesti, all’interno di Nel corso del tempo, se ne riscontrano alcuni significativi. Anzi, essi sembrano essere la vera cifra del film, che sfrutta il potenziale “situazionista” che il road-movie permette per dare spazio ad un fare sottratto alle maglie della trama propriamente narrativa, che ha il sapore di una resistenza ed è collegabile alla definizione di gesto di Agamben. Sia Bruno che l’uomo dell’incidente, in due scene diverse, tirano sassi contro delle strutture metalliche, ed è per l’appunto quel flebile rimbombo che sveglia Robert nella notte, permettendo l’incontro tra lui e il misterioso uomo. Egli ha però bisogno di continuare a mettere in atto il gesto ancora per un po’, prima di riuscire a parlare di ciò che gli è successo. Ha probabilmente bisogno di affidarsi ancora a quella dimensione impersonale descritta da Agamben, nella quale si può uscire dalla propria “persona” – dal latino maschera – riassumendo il residuo di sé che va perso in quella contorsione necessaria per far rientrare l’umano nelle categorie razionali di imputabilità e colpa, che danno luogo infine alla giurisprudenza.

La Germania post-bellica nelle metafore individuali

Tutto questo, come detto, si può raggiungere attraverso un gesto che si smarchi da questa reductio. Lanciare sassi in quella situazione potrebbe corrispondere al fine intrinseco di sentire ancora se stessi e proclamare la propria possibilità di sopravvivenza pur di fronte a ciò che questa stessa sopravvivenza minaccia. L’analogia tra questa esperienza singola e quella tout-court della Germania, prima proposta, ritorna qui densa di conseguenze. Rispetto all’ebbrezza libertaria che accompagnava Easy Rider, ambientato nell’America dell’anno di Woodstock, e a quel sovrappiù di senso che lo contraddistingueva – pensiamo alle famose scene psichedeliche girate in un cimitero, dopo l’assunzione di acido lisergico – Nel corso del tempo racconta invece di un profondo spaesamento, la perdita dei legami con le cose (la Wolkswagen di Robert viene lanciata a tutta velocità nel fiume, e da ciò nasce l’incontro trai due protagonisti) e la parallela perdita di quelli fra esseri umani. L’incontro tra Bruno e la donna del cinema, infatti, è struggente e alienante nello stesso tempo. Si nota l’estrema difficoltà che i due hanno ad entrare in contatto, fisico ed emotivo. Emerge il sottofondo di tristezza dalle lacrime della donna, e ancora una volta l’incontro è sciolto da un gesto esterno alla routine dei rapporti trai sessi.

Un'immagine tratta da Nel corso del tempo
Un’immagine tratta da Nel corso del tempo

Ancora non ci si è ripresi dall’azzeramento che deve essere stata la fine della seconda guerra mondiale per la Germania. È crollata la nefasta illusione nazista che ha comportato la dipendenza da potenze straniere – tra cui quella americana, che ha anche finito per colonizzare il subconscio, come dice ad un certo punto Bruno a Robert –. Si è palesato lo smarrimento di aver perso quell’utopia di consonanza tra stato e popolo che il totalitarismo deve essere stato, oltre alla vertigine tanatologica che il nazismo ha rappresentato, lasciando ai posteri il complesso di colpa irriducibile legato all’Olocausto. Bruno e Robert devono essere nati proprio a cavallo di quello spaesamento, e infatti i loro rapporti con gli altri sono contraddistinti da un vuoto. Entrambi non hanno davvero un padre, né hanno un partner, hanno solo loro stessi e la loro unione comunque momentanea, precaria, come Vladimiro ed Estragone di Aspettando Godot di Beckett.

Un'immagine tratta da Nel corso del tempo
Un’immagine tratta da Nel corso del tempo

Anche il cinema stesso forse sta per finire, in fondo è solo l’azione meccanica quella che rimane: aggiustare la pellicola in un proiettore, ripararne le parti danneggiate, come fa Bruno. Ma per dire cosa? Qualcosa da dire forse c’è ancora. Un modo di agganciare il passato senza precipitare nel vuoto che permea di sé il film. Se ne trova traccia nella scena in cui i due protagonisti improvvisano uno spettacolo di ombre cinesi per un gruppo di bambini, un’estemporanea irruzione nell’antica bellezza del cinema, subito però sconfessata o problematizzata dai due in un loro dialogo successivo che descrive il disagio che quel gesto – alieno rispetto al contesto come abbiamo detto che ogni gesto deve essere – ha in loro provocato.

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