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Cinema

Monster: l’ingiustizia giudiziaria declinata in chiave teen

Monster, diretto da Anthony Mandler, è un’opera che declina in chiave teen il tema della conroversia giudiziaria

Tempo di lettura: 5 minuti

Si intitola Monster il primo lungometraggio di Anthony Mandler, disponibile su Netflix a partire dal 7 maggio. Dopo una ventennale carriera nell’ambito dei videoclip musicali, Mandler si affaccia sul grande schermo con un adattamento dell’omonimo libro per ragazzi di Walter Dean Myers, restituendo un film abbastanza semplice e adatto a un pubblico di giovanissimi.

Tra stereotipo e innovazione

La storia di Monster è quella di un adolescente messo alla dura prova dal caso. È vero, il rischio di cadere immediatamente nello stereotipo incombe in maniera prepotente non appena i personaggi si presentano sullo schermo. Si tratta per lo più di ragazzini, neri e abitanti di Harlem. La solita storia di segregazione e razzismo, si potrebbe pensare. E questo è parzialmente vero, nel senso che la questione razziale costituisce un sottotesto importante, ma non esclusivo e conclusivo. Steve, il protagonista del film, incarna in effetti la quintessenza dello stereotipo, ma al tempo stesso reca su di sé (fortunatamente) anche tutti i segni distintivi di una storia – filmica e personale – diversa. È un borghese, figlio di ottima famiglia e brillante studente di cinema. È un fratello affettuoso. Un figlio amorevole. Non è perennemente incazzato col mondo e ha alle spalle una famiglia a dir poco esemplare. Vive come molti coetanei: sperando di entrare al college, di innamorarsi, di coronare i propri sogni.

Un fotogramma tratto da Monster
Un fotogramma tratto da Monster

È proprio questa parabola biografica che fa di Monster un film che ha il gran pregio di non presentare agli spettatori la solita, manichea storia divisiva tra bianco e nero. Le matrici monocausali, che polarizzano e radicalizzano spesso i discorsi sociali, risultano talvolta pleonastiche e aprioristiche. Così, servono a poco. Molto più convincente, invece, risulta il discorso portato avanti da Mandler, che nella tavolozza di colori a disposizione riesce a bilanciare tra bianco e nero, con ampie tonalità di grigio che donano autentica vitalità e verosimiglianza a questa storia contemporanea. Steve Harmon, in definitiva, è il più classico dei protagonisti che si trova al momento sbagliato e nel posto sbagliato. Certo, è anche un nero. E forse è persino reo di qualche “colpa”, perpetrata per troppo amore della sua arte. Per tutti questi motivi, il tribunale chiamato a giudicarlo sembra aver scritto la sentenza ancor prima di aver sentito tutte le parti in causa. La colpevolezza, a prima vista, sembra incontestabile.

La reiterata fallacia del rasoio di Occam

Tutta la narrazione di Monster tenta di evidenziare a più riprese un concetto semplice, ovvio, basilare: non esistono fatti, ma solo interpretazioni. E questo è ancor più vero nell’aula di un tribunale, dove, oltre ai fatti, conta parecchio anche la loro narrazione. L’avvocato difensore di Steve deve anzitutto preoccuparsi di renderlo «un essere umano agli occhi della giuria», anziché un mostro. Inoltre, al fine di disinnescare la presunzione di colpevolezza, ella ha anche l’arduo compito di esplicitare la perniciosa portata del celebre principio del rasoio di Occam. Non tutto può essere semplificato. Non sempre si può giudicare alla luce di elementi apparentemente incontrovertibili. In caso contrario, il mero fato potrebbe essere scambiato per colpa, ma questo nulla toglierebbe all’ingiustizia che l’uomo libero deve tentare in ogni modo di fugare.

Un fotogramma tratto da Monster
Un fotogramma tratto da Monster

Monster rimane tuttavia un film essenzialmente costruito in ottica teen. E, come tale, reca tutti i segni di una storia che ha ben poco da dire oltre al messaggio iniziale, reiterato fino alla nausea. Che il punto sia la fallacia delle apparenze è assodato ben presto, e tutto il contorno, tutti i ricami e gli orpelli non aggiungono niente al nocciolo della faccenda. Che Steve sia uno studente molto versato nel cinema e nella fotografia è quindi un “in più” utile alla sua caratterizzazione, ma non occorre certo che il suo insegnante arrivi a scomodare nientemeno che Rashomon, per esplicitare (ancora!) il tema portante della storia. Né, con questo espediente estemporaneo, si può sperare che il pubblico cinematograficamente più smaliziato si appassioni a una vicenda che offre pochi spunti o divagazioni teoriche. Si ha come l’impressione che Mandler, esaurita la spinta propulsiva iniziale, annaspi un po’ nel tentativo di allungare la storia al di là della sua durata. Le fasi del dibattimento in aula occupano infatti uno spazio decisamente preponderante, e ogni scelta scenica sembra solo un vano tentativo di procrastinare il più possibile il momento del verdetto. Girato, questo sì, con sapienza e astuzia.

Una narrazione molto cinematografica

Come prodotto per ragazzi Monster funziona egregiamente. La scelta del protagonista (una variazione sul tema dell’uomo che lotta contro le ingiustizie di un sistema per realizzare sé stesso), e il contorno di aspirazioni cinematografiche che lo animano, sono tutte strategie volte a catturare l’interesse dei giovanissimi. E, sempre all’interno dell’ottica teen, risultano suggestive anche le scelte narrative e discorsive. Gli eventi sono esposti attraverso un montaggio alternato, che vede succedersi il presente delle fasi processuali con i frequentissimi flashbacks che ritraggono i momenti topici della storia che ha portato Steve dietro le sbarre. La cui voce-off, onnipresente, legge la sua propria storia come se si trattasse di una vera e propria sceneggiatura, con tanto di location e luci.

Un fotogramma tratto da Monster
Un fotogramma tratto da Monster

Nulla di trascendentale, ma quantomeno (ai cinefili) resta il retrogusto di un film per ragazzi vagamente più approfondito, ben confezionato. In quest’ottica, sembra di assistere a un’embrionale messa in abisso. La quale, insistita a volte oltre i limiti del lecito, chiarisce ancora una volta quanto il tentativo di Mandler sia intrinsecamente pensato, narrato e offerto a quel pubblico che – si spera – possa nutrire un giorno più alte ambizioni cinematografiche.


Monster
regia
: Anthony Mandler
con: Kelvin Harrison Jr., Jennifer Ehle, Tim Blake Nelson, Jeffrey Wright, Paul Ben-Victor
sceneggiatura: Radha Blank,Cole Wiley e Janece Shaffer
anno: 2018
durata: 98 minuti
disponibile su: Netflix
trama: Di famiglia borghese, il giovane Steve Harmon (Harrison Jr.) è un talentuoso studente di cinema di Harlem. Come per molti altri ragazzini della sua età, il pericolo di imbattersi in cattive compagnie è sempre dietro l’angolo. Un giorno, quando si fa maldestramente coinvolgere in una rapina a una drogheria dai suoi coetanei, tutto sembra volgere al peggio. Arrestato con l’accusa di essere uno dei responsabili di omicidio, Steve comincia una lotta giudiziaria insieme al suo avvocato: contro ogni evidenza, dovranno convincere la giuria della sua innocenza.

Leggi anche: Nomadland, viaggiare tra i territori ameni dell’anima

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