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Anniversari

Match Point, l’ossessione di Woody Allen per il Caso

2005-2020. Celebriamo i 15 anni di Match Point, film manifesto della filosofia alleniana, della sua visione del mondo e della vita, del suo ateismo.

Tempo di lettura: 6 minuti

Ho provato grande piacere nel girarlo, mi ha dato una sensazione molto positiva quando l’ho guardato nella versione definitiva. Ho pensato fosse un bel film. Se nella mia carriera avessi fatto solo film del genere, sarei più contento di me stesso” Woody Allen.

È tutto frutto di una ossessione. Può un comico essere ossessionato dall’idea di un universo senza Dio? Dall’idea di una esistenza frutto del Caso e senza significato? Dalla assoluta importanza che riveste la Fortuna nella vita degli uomini? È una ossessione che viene da lontano, che anzi pare attraversare incidentalmente l’intera filmografia di Woody Allen.
Se è però vero che nelle commedie l’ossessione sia esorcizzata dal potere catartico della risata, ecco invece che nei film drammatici viene fuori nella sua totalità, ora con esiti più sfumati (Interiors), ora più incerti (Crimini e misfatti), ora più incisivi (Match point).

Ma se nel primo, riuscitissimo, esperimento è ancora troppo forte l’influsso del maestro Bergman, è soprattutto in Crimini e misfatti che il regista newyorkese trova il modo di sviluppare la sua ossessione, di nutrirla di altri impulsi ideali, di allargarla, arrivando a toccare i temi dostoevskiani e universali della Colpa e del Castigo. È un film imperfetto Crimini e misfatti, è un film spaccato a metà, in cui lo spettatore prova grande interesse per la vicenda di quest’uomo che in un universo senza Dio accetta di compiere un delitto e farla franca, ma al contempo deve sorbirsi gli inutili inframezzi comici del personaggio di Allen, che interpreta appunto un personaggio alla Allen, appesantendo la narrazione e rendendo macchinoso il fluire dell’intera pellicola.

Cosi, quando all’inizio del 2004 comincia a scrivere la prima bozza di sceneggiatura di quello che diventerà Match Point, Allen non può non aver fatto tesoro di quell’insegnamento. Il nuovo millennio fino a quel momento gli aveva riservato solo delusioni: Criminali da strapazzo, La maledizione dello scorpione di Giada, Hollywood Ending, Anything Else, Melinda e Melinda. Uno sgangherato gruppo di ladri che nel maldestro tentativo di svaligiare una banca finisce per arricchirsi vendendo biscotti; un regista cieco psicosomatico costretto a portare a termine le riprese del suo film; uno giovane scrittore in crisi creativa e sentimentale aiutato da uno squinternato collega più anziano; le vicende della stessa ragazza raccontate col tono della commedia e con quella della tragedia. Film non apprezzati dal pubblico, non apprezzati dalla critica, non apprezzati da lui stesso, tanto che da più parti comincia a diffondersi l’idea che la sua carriera abbia imboccato il viale del tramonto.

E poi, d’improvviso, la sua ossessione tornò a manifestarsi mentre stava guardando una partita di tennis alla tv. Una immagine, una sola, si è stagliata nella sua mente. La rete, la pallina che colpisce il nastro e rimane quasi a mezz’aria rimbalzando, e tutti a trattenere il fiato nell’attesa che quella maledetta si decida finalmente a cadere, di qua o di là, decidendo la fortuna di questo o quel giocatore.

Scena di Match Point

È un film, Match point, che per larghi tratti non sembra diretto da Woody Allen ma che a fine visione si impone come uno dei suoi film anzi più personali, più necessari.
E la forza maggiore sta proprio nella sua atipicità, sia rispetto al genere che rispetto alla filmografia alleniana: è un giallo, ma prevalgono i personaggi sulla trama; ci sono degli omicidi ma non vengono mostrati; non c’è l’atmosfera leggera di quella New York tutta bianco e nero che trasuda jazz ad ogni angolo di strada, c’è invece il grigiore tragico di una Londra spersonalizzante che grida i suoi dolori come in una opera lirica.

E come in un’opera, anche qui la musica lirica tenta di avvertire noi e i personaggi, di metterci in guardia, di raccontarci l’unica, vera grande verità che Allen si prende la briga di spiegarci nella maniera più didascalica possibile, affinché non possa crearsi infingimenti, perché “in ogni cosa è importante avere fortuna; il lavoro è indispensabili ma hanno tutti paura di ammettere quanta parte abbia la fortuna. In fondo gli scienziati stanno confermando sempre di più che la vita esiste solo per puro caso. Nessuno scopo, nessun disegno. Io dico che è la fede la via per la soluzione più facile”.

E poi c’è lei, Scarlett. Con la sua sensualità, la sua personalità, i suoi occhi, le sue labbra, la sua voce, i suoi abiti. Grazie a lei il film, almeno nella prima parte, gode di quell’aura di erotismo e di peccato necessaria alla costruzione di un personaggio complesso, che prima ammalia e poi esplode in un tornado di isterie e nevrosi. È una vittima sacrificale; è insieme innocente e colpevole, candida e maliziosa al tempo testo, e come a voler rimarcare questa duplicità indossa sempre camicette/abiti in tonalità di bianco che si alternano con abiti/giacche in nero, almeno nella fase della seduzione. Nella seconda parte il collasso nervoso del personaggio è testimoniato invece dalla perdita di cura nell’abbigliamento, da sciatti e sformati abiti casalinghi, da abbinamenti cromatici più tendenti non a caso al grigio.

scarlett johansson e jonathan rhys-meyers

In questo senso, l’evoluzione caratteriale del personaggio da sensuale a isterica è ciò che differenzia maggiormente il personaggio di Nola Rice della Johansson rispetto alla Dolores Paley di Anjelica Huston in Crimini e misfatti: entrambe vittime di un assassinio che non vediamo, entrambe innamorate dell’uomo sbagliato ma, a differenza di Nola, Dolores è una donna adulta fisicamente e caratterialmente, ha una personalità più definita e più “semplice”, non nutre le sue aspirazioni artistiche, è una hostess consapevole della sua “inferiorità” culturale rispetto al suo amante (“Dovrai insegnarmi tutto, sono così ignorante per la musica classica”).

Ma qui si rischia di divagare. Il punto è la maestria di Allen, soprattutto nella scrittura, che, come il personaggio della Johansson, prima lascia che lo spettatore sia sedotto dal turbinio dei sensi, si lasci andare alla passione per questa giovane aspirante attrice americana che tenta di sfondare nella City, e poi pian piano prepara il terreno per far accettare il delitto. Focale in questo senso è la scena all’esterno dell’ufficio in cui Nola accusa il suo amante di averle mentito: è lì che il personaggio cambia completamente in maniera irreversibile, non c’è più la sensualità, non c’è più l’erotismo del massaggio con l’olio di poco prima, c’è solo rabbia, rancore e paura.

L’universo è senza Dio, la vita è priva di significato, spesso si rivela una esperienza terribile (già in Io e Annie: “Io, sai, sono ossessionato dalla morte, credo. Sì, è il tema di fondo per me. Io sono molto pessimista nella vita. Devi saperlo, se noi staremo insieme. Sai io… io sento che la vita è divisa in orribile e in miserrimo. Sono come due categorie, sai. L’orribile sarebbe… per esempio un caso limite sarebbe quando uno è cieco, storpio… Io non so come si faccia a vivere così. È un mistero per me, sai? E il miserrimo sono tutti gli altri. Ecco allora, allora devi ringraziare Iddio se sei miserrimo perché sei fortunato… ad essere nato miserrimo), in alcuni casi non c’è punizione alle tue colpe: dov’è allora il limite alle azioni umane?

Woody Allen e scarlett johansson

In questo senso, soprattutto da certa critica di matrice cattolica, Match point è stato definito come il film più ateo mai realizzato. Ma Allen non è compiaciuto di questo scenario, traspare in controluce sia da Crimini e misfatti che da Match point (che dal successivo Sogni e delitti, altro film imperniato sul tema) come Allen pensi sia una vera e propria tragedia che l’universo sia senza Dio, per questo si affanna nel tentativo di trovare un limite alle azioni umane, un codice di condotta che se non può essere spirituale deve per forza trovare fondamento nella moralità di ciascun individuo.

Il Jude Rosenthal di Martin Landau sul finale di Crimini e misfatti ha la necessità di raccontare la sua storia, come condannato a raccontarla per sempre quale pena da scontare per una vita che scorrerà tranquilla come prima; il Chris Wilton di Jonathan Rhys Meyers sul finale di Match point sogna le sue vittime che gli chiedono spiegazioni. Entrambi non dimostrano rimorso, entrambi l’hanno fatta franca, entrambi prosperano.

Sarebbe appropriato se io venissi preso e punito; almeno ci sarebbe un qualche piccolo segno di giustizia, una qualche piccola quantità di speranza di un possibile significato” si augura Chris, ma è Allen ad augurarselo, e noi con lui. Non c’è punizione, non c’è espiazione, non c’è lieto fine in Match Point. Gli assassini non vengono scoperti, non si costituiscono, non provano rimorsi. Ma, come dice Martin Landau in Crimini e misfatti, “questa è la realtà; chi vuole un lieto fine vada a vedere un film di Hollywood.”

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