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Malcolm & Marie

Cinema

Malcolm & Marie, il kammerspiel che punta all’introspezione

I protagonisti del film, Malcolm e Marie, sono risucchiati da un vortice dialogico che li paralizza in un rewind emotivo non privo di sofferte conseguenze.

Tempo di lettura: 5 minuti

In attesa della seconda stagione di Euphoria – che ha consacrato definitivamente Zendaya alla simpatia collettiva – la giovane attrice statunitense si tuffa a capofitto nel progetto cinematografico Malcolm & Marie (girato durante il primo lockdown causato dall’emergenza sanitaria e disponibile su Netflix dal 5 febbraio) spalleggiata, sul versante regia e sceneggiatura, da Sam Levinson e, metaforicamente e letteralmente parlando, per la recitazione, da John David Washington – impresso nella memoria di tutti per l’iconico ruolo de il Protagonista in Tenet.

Traspare dal film una vivida ed inappuntabile esercitazione pregressa, ma il tuffo di cui prima è venuto fuori male: Zendaya e Washington – che nella pellicola rivestono anche il ruolo di produttori – hanno sottostimato l’altezza del trampolino e la profondità delle acque. Se ne ammira comunque il tentativo, per quanto difettoso, perché sappiamo bene che solo facendo pratica si può cavare qualche insegnamento degno di nota.

Malcolm & Marie

Il rewind emotivo di Malcolm & Marie

Già dalla camminata convulsa di Marie, nella prima scena, intuiamo che tra lei e il suo compagno c’è aria di tempesta. I due sono di ritorno dalla proiezione in anteprima del film di Malcolm; dovrebbe – in teoria – essere un post-serata brioso ed esuberante, ma le due ore che passiamo in compagnia della coppia (il tempo della storia e quello del racconto coincidono appieno) si trasformano in un conflitto abbandonato e ripreso dai protagonisti a più battute con intensità e mordacia alternate a un’aggressività passiva capace di fare ancora più danni della cristallina violenza verbale.

La discussione – e tutto ciò che poi ne deriva – è causata inizialmente dalla dimenticanza di Malcolm che, dopo la proiezione, non ricorda di ringraziare Marie, alla quale il personaggio di Imani sembra essere ispirato, ricalcandone la sua precoce dipendenza da droga e il suo travagliatissimo percorso di guarigione. Siamo di fronte al classico caso da ‘vaso di Pandora’: una volta aperto, indipendentemente da chi, risulta difficile, se non addirittura impossibile richiuderlo. I due sono risucchiati da un vortice dialogico che si mette rapidamente in movimento e paralizza Malcolm e Marie in un rewind emotivo che riporta alla memoria – a volte con cognizione di causa, a volte involontariamente, solo per il gusto di mortificare – ferite passate, torti subiti, smacchi perdonati, aiuti forniti.

Durante la conversazione – se così può esser definita una comunicazione spezzettata e a fatica ricucita dagli stessi protagonisti (oltre che da noi) – si risale al motore atavico della rancorosa frustrazione che Marie prova nei confronti di un compagno che però, allo stesso tempo, stima, ama e apprezza: l’aver scelto un’altra attrice per il ruolo di Imani, nonostante entrambi fossero estremamente consapevoli che, data la indubbia somiglianza, quel ruolo fosse cucito su misura per lei.

Il vincolo delle relazioni altalenanti

Come ogni buon film che si rispetti, anche Malcolm & Marie punta a farsi portatore di un’ambasciata, molto probabilmente la (piuttosto banale e trita) necessità di abbassare le maschere e mostrare i volti veri nelle relazioni importanti. Dall’atteggiamento chiuso di Malcolm emerge una penuria di empatia conseguenza diretta di un narcisismo quasi patologico: sente di meritare la vittoria della serata e, per tale motivo, non è disponibile a nessun tipo di confronto che possa incrinare il suo successo o mettere in discussione i suoi errori – sia in quanto regista che in quanto compagno di Marie.

Malcolm è quello dei due sempre pronto, sempre disponibile, sempre accogliente – almeno a detta sua – che si muove nella relazione per creare il maggior vantaggio possibile ad entrambi; buffo, e forse anche amaro, che Marie, attraverso i suoi reclami, ne abbia fornito invece una versione completamente contrastante. Questo, forse, è il contraccolpo più brutto delle relazioni prive di una comunicazione onesta: vedere se stessi e gli altri in maniera antitetica rispetto alla realtà.

Malcolm e Marie

Se l’egoismo di Malcolm può, in un modo o in un altro, essere tamponato, con Marie il discorso è più sottile: con un passato di tossicodipendenza e un tentato suicidio, vive in una tempestosa spirale di insicurezza che la spinge a decostruire la stoica sicurezza di Malcolm per sentirsi per lui necessaria. Ha bisogno di vedersi (e che Malcolm la veda) come la Musa ispiratrice del suo lavoro, smascherando il suo bisogno di vivere una dipendenza, affettiva o di altro tipo che sia. Siamo su un’altalena che ci fa spostare verso un lato e verso l’altro della giostra sotto la spinta di una ferrea opposizione tra i due che, lungi dall’essere frutto di infantili prese di posizione, ha radici che affondano, indisturbate, nel terreno scosceso e argilloso della loro relazione.

Il teatro intimo che non riesce

‘E’ un esercizio di stile?’, la domanda che la maggior parte degli spettatori si porrà se non durante, almeno alla fine della visione. Partendo dall’impostazione narrativo-spaziale, la scelta della one location (non una a caso, ma la Caterpillar House a Carmel, California) dovrebbe favorire un simbolismo implosivo che associa la momentanea asfissia relazionale vissuta da entrambi con la limitata disponibilità di spazio fruibile – tant’è che più di una volta i due, tra un match e l’altro, si vedono costretti a vivere la natura aperta per evadere dal claustrofobico spazio domestico impregnato di incomprensione. E’ una scelta azzardata che alla fine, nonostante le buone intenzioni, non riesce, incapace di fornire il livello di intimità che tale tecnica narrativa richiede e restituisce allo spettatore. Poco male: sono in tanti, in questa nefasta annata cinematografica appena terminata, ad aver provato un’approccio filmico del genere e ad esserne usciti non proprio vincitori, due fra gli ultimi Ma Rainey’s Black Bottom e One Night in Miami.

La sceneggiatura procede come un cieco in una notte senza luna. Battute ridondanti e monologhi troppo legnosi, a fagocitare una ciclicità che rimanda loro/noi sempre agli stessi snodi e mai con una svolta diversa ogni volta che ci si ritorna su. Malcolm & Marie non si capiscono, è un dato di fatto, e noi non capiamo il finale del film: non è che non lo capiamo perché il regista chiude con un’ambiguità interpretativa che ci lascia uno spiraglio di autonomia immaginativa, ma perché non c’è niente su cui elucubrare, una notte intera di litigi e nessun passo avanti per la coppia.
Ad un tratto la sceneggiatura vira su un altro fronte: Malcolm legge la prima recensione pubblicata sul suo film, muovendo una critica mordace all’industria cinematografica attraverso un’omelia che denuncia e ammonisce l’incapacità di comprendere la matrice prima del lavoro del regista. Quella che avrebbe dovuto rappresentare una parentesi di respiro tra battute sempre uguali e ripetitive, si trasforma in una rovinosa caduta in un classico cliché.

A ciò si aggiunge l’utilizzo di un bianco e nero che, lungi dal risaltare simbolicamente le ombre e le luci della personalità dei protagonisti (perché, molto in soldoni, è questo il compito della dicotomia cromatica b&w) sembra fine a se stesso, perché il film non riesce nemmeno a sfiorare l’intensità emotiva alla quale può essere associato questo tipo di tecnica.
Malcolm & Marie poteva fare sicuramente di più: le aspettative nei confronti di questo film, alimentate dalla sua improvvisa comparsa sul web (trailer e notizie) solo poche settimane fa, erano e forse resteranno ancora per un po’ abbastanza alte. E’ giusto volare in alto, ma altrettanto giusto è saper accettare la possibile caduta quando il nostro è un volo incerto.


Malcolm & Marie
regia
: Sam Levinson
con: Zendaya, John David Washington
sceneggiatura: Sam Levinson
anno: 2021
durata: 106 minuti
disponibile su: Netflix


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