fbpx
Connect with us
Il cast di Le verità

Cinema

Le verità: Catherine Deneuve e Juliette Binoche sulla scena tra realtà e finzione

Una passo a due doloroso e leggero tra una madre e una figlia prigioniere del loro passato, mirabilmente ripreso dall’occhio sensibile di Hirokazu Kore-eda.

Tempo di lettura: 5 minuti

«Meglio essere una cattiva madre, una cattiva amica e una buona attrice. E anche se tu non mi perdoni, il pubblico mi perdona» (Catherine Deneuve)

Fabienne è una diva del cinema francese al tramonto, circondata da uomini che la adorano e la ammirano. Quando pubblica la sua autobiografia, la figlia sceneggiatrice Lumir torna a Parigi da New York con la figlioletta e il marito Hank, un attore fallito di serie tv. L’incontro tra madre e figlia nella grande casa di famiglia, in concomitanza con le riprese del film in cui Fabienne recita da co-protagonista, si trasformerà velocemente in un profondo confronto: le verità verranno a galla, i conti verranno sistemati tra segreti e bugie, gli amori e i risentimenti confessati. 

Ancora sulla scia del successo di Un affare di famiglia, Palma d’Oro a Cannes 2018, Hirokazu Kore-eda è uscito impavido dalla sua comfort zone per entrare in punta di piedi in territorio europeo. Con La vérité, presentato in apertura della Mostra del Cinema di Venezia, il regista giapponese sigla regia, sceneggiatura e montaggio del suo primo film fuori dal suo paese e in una lingua non sua, dandogli la forma di una raffinata opera francese che ha adattato al suo inconfondibile stile intimista. Le inquadrature iniziali sull’ampio giardino della villa parigina, con il vento che si insinua tra le foglie degli alberi, convincono lo spettatore ad addentrarsi nella sua nuova storia: la storia di un’altra famiglia, del rapporto tra una madre e una figlia. Nell’osservarlo e nel sondarne le pieghe più profonde, Kore-eda continua a riflettere sul senso dei legami umani e sul significato di famiglia – esaltandone l’universalità – seppur in un contesto sociale lontano dal Giappone. 

L’azione prende il via con l’arrivo di Lumir (Juliette Binoche), quando insieme alla famigliola americana varca la soglia di quella casa bellissima e austera, «un castello che dietro nasconde una prigione», afferma lei stessa nelle prime battute del film. Capiamo subito cosa significhi per Lumir rientrare nella vita di una madre – matriarca, dal cui egocentrismo è sempre stata adombrata. Fabienne (Catherine Deneuve), star del cinema e allieva dell’Actors Studio, è una donna tutta d’un pezzo che ha dedicato tutta sé stessa alla recitazione. Nel farlo ha trascurato la figlia e gli affetti, senza sprecare le emozioni nella vita reale, e destinarle invece alla scena.

Le due donne, prigionieri del loro passato, sono circondate da uomini vagamente smarriti, dei “non protagonisti” silenziosi dei loro slanci emotivi: dal fedele assistente personale di Fabienne, a cui non è stata dedicata una sola riga delle memorie, al marito di Lumir, Hank, che non ma mai sfondato come attore e con qualche problema di alcolismo alle spalle. Lumir, da scrupolosa sceneggiatrice, legge l’autobiografia della madre senza riuscire a trovarvi una cosa vera. Fabienne le risponde di essere un’attrice, e di non potere quindi raccontare la verità nuda e cruda. Emerge la necessità di parlare di verità, o di più verità, quelle nascoste e mai esplorate. Si alza così il sipario sul palcoscenico delle loro esistenze, su un dramma da camera punteggiato da toni da commedia e sorretto con gran sensibilità e mestiere da due attrici di immensa statura. 

Juliette Binoche e Ethan Hawke

Per agevolare le protagoniste a rileggere la realtà e loro stesse, Kore-eda ricorre all’espediente del metacinema, spostandosi dalla casa al set cinematografico di uno sci-fi dal titolo Ricordi di mia madre. Fabienne interpreta la figlia 73enne di una giovane madre che non invecchia mai, che a causa di una malattia è costrette a vivere nello spazio e a tornare sulla terra una volta ogni sette anni. Manon, la protagonista, ricorda molto un’amica di Fabienne scomparsa a causa di un incidente, a cui Lumir era molto legata come fosse una seconda madre, o la madre che avrebbe voluto. Quando Lumir guarda la madre recitare si commuove, e Fabienne a sua volta si fa prendere dalla parte immedesimandosi nel ruolo della vera figlia che non si sente amata e vede nell’attrice che interpreta Manon l’amica perduta: Sarah.

Né Lumir né Fabienne possono fare a meno di identificarsi in quei personaggi, vedono la verità della loro vita sulla scena, e le confessioni sul set si riflettono sulle loro vite. L’incontro è compiuto: la realtà si confonde con la finzione in un gioco di scatole cinesi. Ed è proprio quando realtà e finzione iniziano a mischiarsi che le più salde convinzioni si sgretolano a discapito delle apparenze. Così, ognuno dei personaggi porta un po’ di ciò che è veramente nel grande teatro della vita, come nella delicatissima sequenza della danza, che riunisce in un momento di gioia e spensieratezza i componenti di questa famiglia occidentale un po’ sgangherata.

Questo soffrire in silenzio mentre le riprese del film si accingono a concludersi, porta madre e figlia ad un riavvicinamento che però non si compirà del tutto. Nelle due dolci scene finali, prima il dialogo tra Catherine Deneuve e Juliette Binoche suggellato da un abbraccio, poi quello tra quest’ultima e la piccola Charlotte, confermano che ciò si può ottenere è una pluralità di verità (come suggerisce il titolo italiano del film, tradotto dall’originale al plurale), non una sola. Tutte da credere e da tutelare alla stessa maniera.

La vérité è un racconto sussurrato, accennato dolcemente con la grazia che contraddistingue il modo narrativo del regista. Ritornano altri temi di contorno del suo cinema: l’elaborazione del lutto, la solitudine il senso di colpa, la memoria e il perdono, lo scorrere del tempo. Kore-eda lo scova anche nel vissuto dell’attrice Catherine Deneuve in persona: Fabienne è il suo nome all’anagrafe, e come il suo personaggio è ormai nella fase calante di una carriera costellata di grandi successi, in un’epoca che non le appartiene più. Il regista, in questo meccanismo di cinema nel cinema, trova spazio anche per una riflessione molto attenta sul ruolo dell’attrice

Hirokazu Kore-eda si cala in modo convincente nel cinema francese, e in realtà ci interessa poco quanto l’esperimento di Le verità sia all’altezza delle sue pellicole precedenti. Lo apprezziamo così com’è, perché è gran cinema, comunque. A contribuire più di tutto a renderlo tale è il rigore con cui dirige Catherine Deneuve e Juliette Binoche nel loro passo a due perfettamente in sincrono, necessario per farle splendere di luce propria. Sono così adorabili nei loro battibecchi, pacate e intense, e capaci di fare esplodere o implodere una scena con le giuste battute o le loro espressioni, quelle che parlano più di mille parole. 

Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Iscriviti al nostro canale Telegram

Telegram

Seguici su Instagram

Loading...

Seguici su Facebook

Ultimi articoli

Leggi anche...

Connect