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Le relazioni pericolose tra Europa culturale e Europa economica

Non c’è bisogno della gabbia di un sistema economico ben specifico – e risultato fallimentare sotto molti aspetti – per sentirsi europei. La storia c’insegna che il sentimento di comune appartenza ad un’Europa culturale, soprattutto nella sua epoca d’oro, ha fatto volentieri a meno di pretendere un unico referente politico.

Tempo di lettura: 2 minuti

Siccome mi annoia il continuo ripetersi dei soliti slogan nei quali ci si sente rassicurati, continuo a ragionare liberamente fra me e me. Uno degli errori più madornali degli ultimi decenni è quello di aver scambiato il piano culturale con quello economico. L’idea moderna di Europa si è sviluppata nel ceto colto e intellettuale dei vari paesi europei, senza dirselo e senza porsi nessun obbiettivo, come frutto di quel movimento spontaneo e anch’esso definito a posteriori “Rinascimento”, che riscoprì e riprese l’eredità del mondo classico greco-romano, e si riscontrò entro quello stesso territorio un tempo gestito dall’Impero.Si ereditava la comune lingua e cultura latina, una base che consentiva di sentirsi figli di una stessa Madre culturale. E molto spesso i rappresentanti di questi ceti colti non si trovavano in sintonia con le diverse forme di governo dirette dai ceti economici del proprio paese.

Fino alla fine dell’800 gli intellettuali, gli scrittori, gli artisti, di ogni paese appartenente all’ex Impero, erano spinti ad imparare e conoscere le principali nuove lingue volgari, per poter usufruire delle reciproche creazioni: l’italiano, il francese, l’inglese, il tedesco, lo spagnolo, erano patrimonio comune di questo ceto, così come delle espressioni artistiche e culturali degli altri paesi. Ma nessuno di loro avrebbe mai desiderato l’imposizione di una sola lingua per tutti, tantomeno “commerciale”, come l’inglese, e ancor meno avrebbero voluto un unico governo di carattere politico-economico per tutti. Io mi sento culturalmente tanto italiano quanto francese che spagnolo, per alcuni aspetti come il teatro anche inglese, per altri aspetti come la filosofia, anche tedesco. Ma mi sento anche latinoamericano per averci visssuto un pezzettino della mia vita e per alcuni aspetti culturali e artistici, così come per altri mi sento africano, per altri ancora asiatico, per altri nordamericano. E non c’è alcun motivo per trasformare questo sentire che acccomuna ad altre culture, in una specifica e artificiosa costrizione di carattere politico-economica, che riguarda invece il piano dei diritti e dei doveri che ognuno ha verso una comunità con la quale condivide la responsabilità di un territorio. Bisogna essere concreti, e prendere atto che non esiste allo stato attuale un possibile governo mondiale della terra.

Sarà forse auspicabile per il futuro, ma oggi è necessario operare dove è possibile operare con quegli strumenti che ci hanno concesso quelli che hanno lottato per la nostra democrazia. E non sta scritto da nessuna parte che l’unico modo per avere delle buone relazioni con un’altro popolo sia l’avere in comune una forma politica-economica, che nel caso dell’Europa fra l’altro non è mai stata a struttura istituzionale democratica. Lo stiamo vedendo in questi giorni di emergenza, che è sempre il momento dove vengono alla luce i reali rapporti di forza e di potere: a decidere non è un Parlamento o Governo europeo, ma alcuni singoli Capi di Stato più forti economicamente degli altri. La colpa della crisi europea non è dei nazionalismi, ma del fatto che non sono esistite realmente altro che nazioni, e classi dirigenti che in loro nome hanno finora solo fatto accordi per sviluppare un certo modello economico, che si sta rivelando fallimentare, ad esempio rispetto ad un valore come l’uguaglianza.

Intanto è su questo che è possibile fare qualcosa, ricordandoci che la comunanza culturale non è la stessa cosa di quella politico-economica: ci può essere, com’è già stato, l’una senza l’altra.Esistono la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, ma ci sono molti modi e territori per metterle in pratica: cominciamo da quelli possibili.

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