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Gian Maria Volonté in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Anniversari

Indagine su un film al di sopra di ogni sospetto

Usciva nel febbraio di 50 anni fa Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, film simbolo di un periodo, di un’Italia. Vincitore del Gran Prix Speciale della giuria a Cannes e del Premio Oscar al miglior film straniero.

Tempo di lettura: 6 minuti

Al termine delle proiezioni private del film appena concluso, i presenti consigliavano allo sceneggiatore e al regista di lasciare Roma per evitare l’arresto. E loro, Ugo Pirroe il regista Elio Petri, erano altresì fermamente convinti che il loro film non sarebbe mai stato proiettato al cinema, convinzione che si rafforzò decisamente all’indomani della Strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Troppo sospetta infatti, pensarono, sarebbe sembrata quella coincidenza tra cronaca e immaginazione.

E in effetti se da una parte di vera e propria coincidenza si trattava, dal momento che le riprese di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto erano finite qualche giorno prima della strage di Milano, dall’altra non era affatto casuale che due intellettuali impegnati politicamente, attenti osservatori e agenti essi stessi delle vicende politiche dell’Italia di quegli anni, interpretassero in maniera tanto precisa quanto ribolliva nelle viscere del Paese.

Erano anni tumultuosi, passionali, umorali, anni ancora impregnati di un certo fetore autoritario che proprio non si riusciva a scrollarsi di dosso. La rivolta studentesca, quella operaia, le manifestazioni di piazza stavano tentando di scuotere lo status quo, ma avevano finito solo per risvegliare la repressione.

A volte, specie in simili contesti, basta una immagine, una intuizione, una circostanza del tutto casuale per generare un soggetto che funzioni.

Gian Maria Volonté

Racconta Pirro che tornando a casa una sera si trovò letteralmente imbottigliato nel traffico. Si procedeva a passa d’uomo, tra i clacson spietati di automobilisti esasperati. Ad un tratto un’auto, guidata da un tale in compagnia di una donna più giovane di lui, invase la corsia di sinistra, sorpassò una piccola parte della lunga colonna di auto ordinatamente in coda e guadagnò qualche metro.

Sarebbe interessante capire quale meccanismo mentale si innescò, quale fu il processo che lo portò a cominciare a fantasticare sul fatto che il conducente potesse essere un tutore dell’ordine, un poliziotto smanioso di esibire il suo poter essere “al di sopra della legge” per impressionare l’accompagnatrice. Fu da questa immagine, poi riproposta nel film, che iniziò l’esaltante percorso creativo che lo avrebbe portato alla scrittura di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Era questa la fascinazione, l’idea del conflitto di quest’uomo, questo commissario chiamato da una parte a far rispettare le leggi, e dall’altra a sentirsi spinto ad infrangerle per affermare la propria insospettabilità, la propria impunibilità, il predominio assoluto del Potere.

Del resto erano anni particolari, anni in cui Pirro e Petri seguivano con attenzione e interesse quanto stava accadendo, osservavano e al contempo facevano parte del Movimento; tutti gli sforzi di Petri in quel periodo erano concentrati lì, tanto che quando lesse per la prima volta il soggetto di Indagine si dimostrò alquanto freddo. Gian Maria Volonté invece ne fu subito catturato e probabilmente fu il suo entusiasmo a convincere definitivamente Petri.

Una scena con Gian Maria Volonté

Nacque così una delle sceneggiature più originali del Cinema italiano, figlia del suo tempo, decodificatrice del conflitto e anticipatrice del reale; una sceneggiatura talmente spontanea che a volte sembrava si scrivesse quasi da sola, talmente fluiva naturalmente.

In questo senso fu di Petri l’intuizione chiave, l’idea cioè che il commissario subito dopo l’omicidio lasciasse volutamente le prove della propria colpevolezza. Era un modo per esasperare il tono della polemica e colpire allo stomaco lo spettatore, ma sopratutto era la trovata che faceva letteralmente esplodere il film, lo portava lontano, lo faceva volare alto nelle intenzioni e nell’esecuzione. Scelta poi portata alle estreme conseguenze nel finale, insieme spietato e onirico.

È un film contro l’autorità quello di Petri, per certi versi anche contro la polizia, che paradossalmente viene stroncato proprio a sinistra, nel Movimento, con maggior forza, con l’accusa ridicola di un film che inneggiava alla polizia.

Le riprese erano finite da pochi giorni quando, come si è detto, arrivò quel 12 dicembre, e la reazione, la repressione della polizia nei confronti degli anarchici. In questo senso il film assume ex post una valenza profetica, con quella scena della bomba che scoppia all’interno della Questura e il conseguente fermo indiscriminato di centinaia di giovani di sinistra, scene che sembrano tratte quasi da un telegiornale.

Gian Maria Volonté

Si cominciò a diffondere tra gli addetti ai lavori e tra il pubblico la convinzione che il film sarebbe presto stato sequestrato dalla Magistratura, il che provocò una corsa ai botteghini per non perdersi il film prima che fosse ritirato: al Cinema Ariston di Roma si organizzò anche una proiezione notturna visti i numerosi spettatori rimasti esclusi dallo spettacolo serale.

Racconta sempre Pirro di come il film ebbe addirittura un ruolo anche nella difficile trattativa tra Dc e Psi per formare il nuovo Governo, complice quella battuta semplice, quasi distratta, che il Commissario rivolge allo studente durante l’interrogatorio: “Ma parliamo da uomini moderni, avanzati. Che cos’è questa democrazia? E diciamocelo! È l’anticamera del Socialismo! Io, per esempio, voto socialista”. Poche parole di impatto dirompente, perché se da una parte indispettirono i socialisti, dall’altra li misero al contempo nell’impossibilità di non difendere il film qualora fosse stato sequestrato.

Ed è questa continua dialettica, diegetica ed extradiegetica, con il piano del Reale la vera, grande unicità di Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto: Realtà che ispira la narrazione; narrazione che anticipa la Realtà; Realtà si ritorce sul prodotto cinematografico.

Naturalmente non si può prescindere da lui, da GianMaria Volonté, esempio di un uomo che intende la recitazione non solo come professione, ma come strumento di lotta politica, grimaldello per scardinare le contraddizioni di una società ipocrita e repressa. Emblema del cinema come vocazione civile, Volonté riesce a dar sfoggio in Indagine di tutti i registri che ha a disposizione come attore, alterna toni, parole e gesti spingendoli ora al massimo livello di affermazione del Potere e dell’Autorità (“Stai dritto; tu puoi essere marxista, anarchico, situazionista, Mao, Lin Piao, tu puoi leggere il libretto rosso, ma tu puoi fare tutto quello che vuoi! Tu non sei un cavallo! Tu sei un cittadino democratico, e io ti devo rispettare. Ma i botti terroristici, le intimidazioni, le bombe, che minchia c’entrano con la democrazia?”); ora in tono minore, ipocrita, falsamente conviviale (“Allegri, allegri, ma cosa sono queste facce? Ma per piacere! Signora stia tranquilla, suo figlio con una decina d’anni se la cava. Io non c’entro più niente, io ho finito. […] Panunzio, Panunzio! Una bottiglia la facciamo aprire al dottor Panunzio“); in altri momenti ancora al limite dell’isteria, ostaggio inerme di quella nevrosi del Potere (Denunciami, denunciami! Tu mi devi denunciare, io ho sbagliato, ma io voglio pagare, capisci?).

Gian Maria Volonté

Primo capitolo di una più ampia riflessione che Petri e Pirro avranno modo di sviluppare successivamente con La classe operaia va in paradiso e La proprietà non è più un furto, in quella ideale Trilogia della Nevrosi, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto non è stato un film dirompente “solo” per il tema, ma anche per le scelte stilistiche di Petri, che gioca con la macchina da presa, con i carrelli, con le scenografie, nella immortale confezione sonora regalatagli da Morricone.

Erano già tutti nella grande sala ad aspettarmi. Sistemata la cravatta, mi avviai con passo incerto e infantile. Erano tutti attorno al Questore che stava seduto in poltrona al centro della grande sala; la tirata di orecchie stavolta me l’ero proprio meritata. Mi dispiaceva di avere incomodato tante personalità, e forse anche per questo, accettai di buon grado di mangiare il sale per penitenza. Ci volevano delle prove per dimostrare la propria colpevolezza, e purtroppo io, quella prova, la prova schiacciante, quella cravatta, il cui filo era stato trovato addosso alla vittima, avevo deciso di distruggerla; era stato un momento di smarrimento in cui ero ancora combattuto tra il confessare la mia colpa e metterli sulle mie tracce oppure usare il mio piccolo potere per coprirle; era stata una scissione, una dissociazione, una nevrosi; una malattia contratta durante l’uso permanente e prolungato del potere, una malattia professionale comune a molte personalità che hanno in pungo le redini della nostra piccola società. Ma loro non mi credettero, non vollero credermi. Lei si prendeva gioco di me e loro non vollero credermi. Nemmeno quelle foto li convinsero.

Mi convinsero loro; mi convinsero a fare quello che volevano.

Io non appartengo a me stesso, sono un servo della Legge, ad essa appartengo e sfuggo al giudizio umano.

Confessai la mia innocenza.”

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