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Rami Malek in Bohemian Rhapsody

Cinema

L’importanza del finale: l’esempio di Bohemian Rhapsody

L’importanza dei minuti finali di un film, che, da soli, possono risollevare un’opera mediocre o rendere ancora più grande un film notevole

Tempo di lettura: 3 minuti

A sentire i cinefili, il finale di un film non è poi così importante. Ma gli incassi dicono esattamente il contrario. Non mi riferisco alla sola battuta finale che, in alcuni casi, consegna il film all’immortalità: ad esempio il “Francamente me ne infischio” o “Nessuno è perfetto”, o, per rimanere nel panorama italiano, a “Biondo, lo sai di chi sei figlio tu? Sei figlio di una grandissima putt…”. Mi riferisco proprio agli ultimi minuti di film che, da soli, possono risollevare un film mediocre o rendere ancora più grande un film notevole: possiamo citare come esempi il finale de I soliti sospetti o di Se7en, o il famosissimo monologo di Blade Runner che conclude un film già eccezionale di suo. In fondo, molto spesso, il finale è la cosa che più si ricorda di un film.

Bohemian Rhapsody
Una scena tratta da Bohemian Rhapsody

Bohemian Rhapsody sul finale punta tutto, ed è uno di quei finali che rimarrà nella storia. Il film in sé non è niente di impressionante, ma è costruito in modo che il vertice della tensione narrativa sia in quei 20 minuti conclusivi che tutti sapevano essere travolgenti perché ricalcano esattamente i venti minuti del Live Aid. Com’è ovvio, il tutto funziona. Sarebbe però stato impossibile altrimenti: come si può non battere le mani a tempo con il pubblico quando i Queen suonano Radio Ga Ga? Come si può non sorridere quando Mercury fa i suoi vocalizzi o non essere esaltati quando grida “Hammer to fall”, un attimo prima che la chitarra di May ne suoni i primi inconfondibili accordi? Si va ovviamente a casa contenti, ma non potrebbe essere altrimenti. In questo senso il finale di Bohemian Rhapsody è perfetto: chiude il film con una sequenza di quattro brani memorabili (Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, Hammer to fall, We are the champions a cui vanno aggiunti Don’t stop me now sulle scritte conclusive e The show must go on sui titoli di coda) celebrando quelli che a detta di molti sono stati i 20 minuti più esaltanti dell’intero Live Aid e della carriera dei Queen. Venti minuti che concludono in maniera altrettanto memorabile un film tutto sommato mediocre, che si salva solo perché la colonna sonora è nei fatti un greatest hits di una delle più famose rock band della storia.

Rami Malek in Bohemian Rhapsody
Rami Malek in Bohemian Rhapsody

Se vogliamo, nella scelta di rifare il Live Aid “dov’era, com’era”, c’è anche un significato più profondo. Visto che si è scelto di rifare i Queen più possibili vicini agli originali, quasi “clonandoli” con gli attori, tanto valeva rifare anche il concerto quanto più possibile vicino all’originale: tutto finto, ma il più possibile vicino al vero. Peraltro, la scena del Live Aid è stata la prima ad essere girata quando al timone c’era ancora saldamente Bryan Singer (sostituito successivamente) e non solo è senza ombra di dubbio la scena più esaltante del film, ma è anche quella con più inventiva dal punto di vista registico: e questo è paradossale, visto che il filmato originale è stato copiato quanto più possibile per realizzare la scena. Nonostante questo, è su questa scena che vengono utilizzati i maggiori mezzi tecnici: panoramiche a volo d’uccello, passaggi impossibili della macchina da presa e via dicendo. Insomma: nel caso di Bohemian Rhapsody il finale è davvero il momento migliore del film, e che lo rende indimenticabile.

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