E’ già in catalogo Amazon Prime Video I’m Your Woman, con protagonista (e anche co-produttrice) Rachel Brosnahan, conosciuta indubbiamente per il personaggio che l’ha consegnata direttamente nelle mani degli dei ‘Successo, Fama e Popolarità’: La fantastica signora Maisel.
La wife da manuale del malavitoso di turno
Gli ingredienti per un gangester movie ci sono tutti: i sediziosi anni ’70, la criminalità organizzata, il kapò che assetato di potere e ricchezza insorge contro il suo boss, e last but not least la consorte del kapò che, come nella maggior parte di questi episodi cinematografici, vive nella bambagia di una vita abbiente. Jean crede che il marito Eddy sia un traffichino disonesto ma non losco, sospetto quanto basta per non destare preoccupazione e consentirle di continuare a bere cocktail a bordo piscina senza porsi troppe domande.
Di mogli così se ne sono susseguite a cascate: la lunatica Rosalyn Rosenfeld in American Hustle, la carismatica Billie Frechette in Nemico Pubblico, la guerrigliera Mirtha Jung di Blow (solo per citarne alcune tra le più recenti), e tutte, nessuna esclusa, incarnavano il canonico status symbol del matrimonio in cui spesso la riservatezza della moglie è barattata tacitamente con una traboccante agiatezza.

C’è da chiedersi allora cosa I’m Your Woman ha da offrire per disaccoppiarsi da queste omologazioni situazionali e auto-cancellarsi dal listino di cui prima. Il film presenta un insolito risvolto della medaglia che lancia Jean in primo piano e attribuisce a Eddy un carattere secondario il quale, non a caso, appare in tre scene contate e anche fugacemente. Una di queste lo vede tornare a casa con un bambino non suo, del quale Jean inizia a prendersi cura senza interrogarsi o interrogare Eddy, perché in un modo o in un altro ha raggiunto il suo obiettivo: quello di diventare madre, nonostante la biologia avversa.
Quando il marito sparisce per cause inizialmente ignote, Jean è costretta ad una fuga forzata, perché si trova alle calcagna i secondini del boss che vorrebbero cavarle informazioni riguardo a dove Eddy si trovi.
Reinventarsi con audacia
La sconsideratezza del marito spinge Jean, nolente o volente, a bucare l’anestetica ed ovattata campana di vetro sotto la quale Eddy stesso aveva lasciato che lei vivesse. Jean incarna il prototipo di donna che sa mettersi in discussione, e sa farlo anche con un’evidente inesperienza di base, da semplice housewife a kapò di se stessa, concedendosi il lusso, ai più sconosciuto e terrificante, di provare a reinventarsi come può.
Gambe in spalla, Jean è costretta ad attraversare contemporaneamente due campi minati: la maternità, tra le altre cose di un bambino non suo e anche difficile da gestire, e l’indipendenza di azione, partendo da un digiuno di iniziative non indifferente.

Nel frattempo, mentre lo dimostra a noi, Jean dimostra anche a se stessa di essere capace di sparare a sangue freddo e non solo; impara a friggere le uova e ad accendere un fuoco, cose che, a causa della sua vita da perfetta moglie relegata in quello che sembrava castello ma era prigione, le erano sempre risultate estranee, dispensabili, futili.
I’m Your Woman è dichiaratamente una cassa di risonanza sull’avanzata delle donne che prendono lentamente consapevolezza di possedere skills semplici e/o disumane -spesso costrette da circostanze malevole a svilupparle; al contempo è pure una critica costruttiva che snobba, anche con un filo di altezzosità latente, i padri fondatori del genere gangster, nei quali la donna ricopre sì molteplici ruoli (accompagnatrice, sostenitrice, alleata), ma sempre e solo marginali.
Lungo l’evolversi del racconto Jean è aiutata, seppur a tratti, da una sorta di compagno di Eddy e in un secondo momento anche dalla sua famiglia, scoprendo, pian piano, anche degli intrecci relazionali soverchi ed estremamente contingenziali alla trama. Molto probabilmente se Jean avesse fatto tutto da sola – nonostante potesse sembrare altamente improbabile – il potere del messaggio del film non si sarebbe disperso tanto rapidamente. A conti fatti, I’m Your Woman è lì per raccontare la scalata verso l’autonomia di pensiero della donna e declinarne le sue infinite capacità, la pervicacia, la resilienza, la flessibilità, ma si ritrova ad analizzarle solo al macroscopio e senza poi particolari filtri.
Un film che funziona a singhiozzi
E’ giusto, dunque, che nel titolo sia stato lasciato l’aggettivo possessivo your, senza il quale (I’m a woman) ci saremmo aspettati dal film un golpe matriarcale di portata epocale. Il racconto fa spesso falso contatto, accendendosi con (brevi) scene ricche di pathos e spegnendosi con altre puntuali e compendiose tanto nei dialoghi quanto nelle inquadrature. Eppure, dalle acque un po’ torbide di un film che avrebbe potuto darci di più, emerge Rachel Brosnahan, alla quale poter solo fare un applauso accompagnato da un ‘bravo!’ stile USA e la cui mimica facciale è sottolineata da alcuni close-up interessanti. Tra i perché di questo film c’è sicuramente il desiderio dell’attrice di evolversi e sbocciare, proprio come Jean, e dimostrare a se stessa di avere la capacità di essere non solo altro, ma anche l’opposto del pirandelliano ruolo di Midge Maisel.
I’m Your Woman è capace di farci una tenera compagnia per due ore, e per noi donne è sicuramente pan per focaccia, essendo sempre pronte ad armarci (in senso lato, non come Jean) e dare vita ad una rivoluzione di genere. Ma il film è lì, sulla pista di decollo, in attesa di un segnale per partire. Segnale, che però, non arriva mai.
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