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Anniversari

I pugni in tasca, la bomba di Bellocchio contro i valori borghesi

Usciva 55 anni fa I pugni in tasca, opera prima del Maestro Marco Bellocchio, manifesto anticipatore di un ’68 in procinto di arrivare

Tempo di lettura: 3 minuti

Mi era capitato di leggere da qualche parte che tutte le famiglie felici sono simili tra loro; non so se sia vero, noi di certo felici non lo siamo mai stati.

La mia famiglia si è sempre retta su un equilibrio troppo fragile e nessuno di noi si è mai dimostrato tanto saggio da comportarsi di conseguenza. Ripensandoci oggi forse io stesso sono stato troppo egoista. Avrei dovuto avere gli occhi più aperti, non pensare solo alla mia professione e al mio futuro, alle mie amichette e ai miei passatempi, ma pensare anche e sopratutto a loro. Avrei dovuto proteggerli in qualche modo, da loro stessi e da lui. Avrei dovuto imporre la mia autorità di fratello maggiore, di capofamiglia; avrei dovuto farlo, ma non ho saputo farlo. Ma chi avrebbe potuto immaginare che la nostra casa, che ci aveva cullato, visti crescere, custoditi e protetti, si sarebbe trasformata nel detonatore di una tragedia tanto annunciata quanto per me, ancora oggi, incomprensibile?

Voleva prendere la patente, per dare una mano, sgravarmi di qualche incombenza, disse che lo faceva anche per me, per accompagnare la mamma e i ragazzi al cimitero e lasciarmi un pomeriggio libero. Acconsentii anche perché era già da un po’ di tempo che sembrava stare meglio. Del resto Ale non era un ragazzo cattivo, era solo un ragazzo malato, un ragazzo vittima delle sue ossessioni, schiavo suo malgrado di un’unica, folle, idea: liberarsi dalle zavorre. Accompagnarli al cimitero e portarli tutti giù nella scarpata alla curva di Berberino, era questo il suo piano per restituire a me la libertà secondo lui sottrattami.

“Caro Augusto, mi hai sempre sottovalutato, ma a torto. Alla fine manterrò la mia promessa. Ti sbarazzerò in un solo pomeriggio di tutti quanti, me compreso, ho fallito nella patente e ti ho dovuto mentire per avere l’automobile. Da uomo a uomo, addio. Vorrei essere cremato”.

Quando lessi il biglietto che mi aveva lasciato sulla scrivania ebbi quasi un capogiro, stetti per svenire, per un momento mi parve di soffocare. Mi volsi verso la strada e l’auto non c’era già più. Poi mi parve quasi di accettarne l’idea, sentii una sensazioni di leggerezza della quale ancora oggi mi vergogno. Quando ritornarono a casa, tutti sani e salvi, tentai di far passare tutto come uno scherzo di cattivo gusto, come una bravata, finsi di non averlo mai preso sul serio, facendo un torto all’intelligenza di Ale, ma quando lo schiaffeggiai sembrava non rendersi conto di quello che era successo.

Quando morì la mamma io feci un passo definitivo verso la totale ipocrisia. Portai Lucia a casa e comincia a progettare il futuro con lei. Facevo finta. Finta di non sapere, di non vedere. E lui ne approfittò. Ale perse del tutto anche quel minimo di residua soggezione che aveva avuto nei miei confronti e cominciò a provare dell’autentico disprezzo per me. Cominciò a ferneticare e diventò più aggressivo, nei miei confronti e in quelli di nostra sorella Giulia.

Sono un vigliacco. Non sono meno colpevole di lui. Non sono meno responsabile di lui della distruzione della nostra famiglia, della nostra casa, della nostra storia: Ale lo è stato direttamente, io indirettamente, con la mia passività, la mia indifferenza, la mia superficialità.
Sono un assassino, anche io. Forse avrei potuto evitare la morte di Leone, avrei potuto denunciare tutto. Ma, come diceva Giulia, non c’erano prove, nessuno mi avrebbe creduto.

A ben vedere Ale ha ucciso anche me. Ha ucciso il mio perbenismo, la mia ipocrisia, i miei valori, tutte le convenzioni morali, tradizionali, borghesi. C’era in lui un’ansia ribelle che faticava a tenere a bada, pronta ad esplodere e a scagliarsi contro tutto ciò che era Tradizione e Potere, a cominciare dalla Famiglia. Era come se avesse tenuto i pugni in tasca per anni, e adesso li usava come un’arma contundente con furia cieca e inarrestabile.

Forse straparlo e lui era solo un pazzo. Forse non ho capito invece quanto Ale fosse in anticipo sul percorso…

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