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Homemade, il corto di Paolo Sorrentino

Cinema

Homemade, nei corti di Netflix “Il Viaggio al termine della notte” di Paolo Sorrentino

Homemade è l’esperimento casalingo di Netflix nato durante il lockdown: diciassette registi internazionali raccontano in altrettanti cortometraggi l’assurdo di questi mesi. Per l’Italia c’è Paolo Sorrentino: il suo Viaggio al Termine della Notte è un altro piccolo capolavoro. Mai banale, proprio come lui.

Tempo di lettura: 4 minuti

Homemade è l’esperimento che Netflix, con il ‘nostro’ Lorenzo Mieli, e Pablo Larrain, regista cileno, ha ideato in questi mesi di lockdown che e adesso, finalmente, vede la luce sulla piattaforma streaming. Di cosa si tratta? Diciassette registi per diciassette cortometraggi rigorosamente casalinghi, pensati e girati durante il periodo della quarantena. Una sfida proposta a registi come Larrain stesso, ma anche nuove leve come, ad esempio,  Ladj Ly o Kristen Stewart. Uno spazio libero, il tempo di un cortometraggio, per dare sfogo a tutta la propria creatività in questo momento di reclusione forzata. Un modo per lanciare un messaggio, raccontare un punto di vista di un evento che, a tutte le latitudini, ha coinvolto il mondo intero.

I registi, muniti solo di strumenti casalinghi come le telecamere dei loro smartphone, hanno scritto e filmato storie, potendo sperimentare senza la pressione e la confusione solita a cui sono abituati. Racconti intimi, familiari, elettronici, surreali: qualcuno ha confezionato dei veri e propri piccoli capolavori, altri forse sono stati sottotono. Ma poco importa: l’astinenza da immagini filmate è tanta e tale che gli appassionati avranno di sicuro apprezzato il tentativo.
Anche l’Italia è entrata di diritto a far parte di questo progetto, grazie al genio indiscusso di Paolo Sorrentino, autore, a insindacabile giudizio (di chi scrive ovviamente!) del cortometraggio più bello tra quelli proposti: Voyage au bout de la nuit, perché Céline non è mai abbastanza.

Voyage au bout de la nuit: Elisabetta e Francesco sono due simboli

La trama, se ne esiste una, di questo short film è molto semplice: Papa Francesco e la regina Elisabetta II si ritrovano a passare insieme il periodo del lockdown, nella residenza in Vaticano del Papa. La storia è già assurda e impensabile così. Ma proprio la fenomenologia di questi due personaggi offre a Paolo Sorrentino l’occasione per indagare, ancora una volta, uno dei temi portanti di tutte le sue narrazioni: il potere. Il potere visto da chi, almeno sulla carta, lo incarna nella condanna di essere un simbolo. Elisabetta e Francesco sono dei simboli per eccellenza: uno è il vicario di Cristo, mentre l’altra è la Corona stessa, peso schiacciante da portare e fardello che condanna alla solitudine e al non saper far nulla. Elisabetta e Francesco improvvisano un ballo dove è difficile capire dove finisca il turchese dell’abito di Sua Maestà e inizi il cielo ed è proprio in quel momento che The Queen ammette candidamente e amaramente la condizione di simbolo a cui giocoforza sono condannati: “Io e te siamo solo dei simboli. Per questo non sappiamo fare niente”. Sanno solo essere simboli, magari un po’ decadenti, mentre il mondo intorno si affanna alla ricerca di quello che sa fare. E di quello che si è. Una ricerca bruscamente interrotta da questi tre mesi di lockdown e isolamento sociale.

Paolo Sorrentino

L’isolamento è una condizione dello spirito

E anche l’isolamento sociale diventa materia che porta, probabilmente, alla riflessione più intensa di tutto questo lavoro sorrentiniano: la privazione della libertà, da un giorno all’altro, e l’isolamento come condizione dello spirito che riguarda tutti, simboli e non. Per la Regina finalmente il mondo ha capito cosa significhi essere privato della libertà ed essere costretti in casa (come, in buona sostanza, a lei capita da 94 anni!). Papa Francesco, da buon gesuita, fa notare alla Regina che sì, anche loro sono stati reclusi e hanno dovuto imparare a convivere e a perdonarsi le reciproche maleducazioni ma che, a differenza della stragrande maggioranza delle altre persone, hanno “dovuto farlo” in 50 ettari. Mentre c’è chi ha dovuto farcela in soli 50 metri quadrati, con tutto quello che comporta una convivenza forzata a cui la frenesia delle nostre vite ci aveva disabituato. Ma The Queen è inamovibile dalla sua posizione: l’isolamento è una condizione dello spirito al netto delle condizioni materiali.

Una scena del corto di Paolo Sorrentino

C’è comunque da dire che la riflessione che fa fare Paolo Sorrentino è importante e può essere letta da diversi punti di vista: uno, tra i tanti, è rivolto a una certa retorica dello stare in casa (per carità, giustissimo dato il periodo che abbiamo vissuto) riscoprendo tutte quelle attività che avevamo dimenticato. Ma se stare in casa significa dividere 50 metri quadrati in cinque persone, forse qualcuno avrebbe preferito non doverci stare. O quantomeno, non sentire tutta una certa retorica a riguardo. È una possibile lettura, ovviamente non ha pretesa di essere unica e universale. Dimostra però quanto il regista napoletano abbia di nuovo colto nel segno, ancora una volta contro le accuse, velate (?), di eccessiva autoreferenzialità: non ha presentato un lavoro fine a se stesso ma ha provato a scandagliare gli aspetti dell’animo umano partendo sì, dai suoi temi d’elezione come ad esempio il potere. Ma le strade che lascia aperte sono innumerevoli.

Roma vuota e disperata

Il cortometraggio, girato nella casa del regista, è quindi ambientato a Roma. Nelle ultime scene Sorrentino regala delle immagini della Città Eterna da quello che presumiamo essere il suo attico. In realtà, i romani più attenti, saranno riusciti anche a individuare la zona. Un mare di luce illumina una città vuota, disperata e incompresa, specchio naturale dell’esistenza dei protagonisti dello short movie. Perché Roma è l’essenza stessa di ciò che definiamo simbolo. Della cristianità, del potere, dell’arte. Simbolo che diventa vuoto e abusato. Come rischiano di essere Elisabetta e Francesco: posti su di un piedistallo reiterato dai gesti della consuetudine; idolatrati da folle festanti, vuoti e disperati perché in questi mesi è, ahinoi, venuta meno la possibilità di assembrarsi per adorarli. Ci sono mancate queste liturgie? Sarà il tempo a dare la risposta e a riappropriarsi di questi simboli, magari sotto una nuova veste. Mentre Roma, bella, decadente, caotica, vuota e tutti gli aggettivi che ci vengono in mente, sarà sempre lì, sorniona, ad accogliere e fagocitare.

Una scena del corto di Paolo Sorrentino

Dal punto di vista tecnico il lavoro è un vero gioiellino, Javier Cámara e Olivia Williams doppiano egregiamente i loro personaggi, le atmosfere sono oniriche ma verosimili, luce e fiori danzano insieme ai due pupazzi di cera, chiaro richiamo all’artigianato delle statuette napoletane.

Ah, Napoli, simboli. Nella prima scena appare sullo sfondo Diego Armando Maradona. Più simbolo di così.

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