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Checco Zalone in Tolo Tolo

Cinema

Checco Zalone: la sua Africa, la nostra Italia

In Tolo Tolo, Checco Zalone racconta la sua Africa parlando della nostra Italia.

Tempo di lettura: 4 minuti

Il 1° gennaio 2020 è stato il giorno dei Messia. Uno è arrivato, sottoforma di serie tv, su Netflix; l’altro, ben più atteso, è sbarcato in oltre 1200 sale in tutta Italia. Ma se il primo si presenta come un possibile impostore, sul secondo nessuno ha il benché minimo dubbio su quelli che sono i suoi reali obiettivi: portare copiosamente persone nei cinema e magari farle divertire. E’ chiaro a tutti che stiamo parlando di Checco Zalone, tornato a distanza di 4 anni dall’ultima fatica con Tolo Tolo.

Checco il sognatore. Checco il migrante. Che un po’ sono i leitmotiv dei suoi personaggi dal suo esordio in Cado dalle nubi – Puglia, Milano e ritorno – fino a Quo Vado? – Italia, poi Norvegia e anche Africa. Uno Zalone perennemente in fuga, che sia per mantenersi il posto fisso come nel film del 2016 o per scappare dal fisco italiano come in Tolo Tolo, che lo vede per la prima volta anche alla regia.

Checco Zalone e altri protagonisti di Tolo Tolo

Per il suo ritorno al cinema Checco Zalone ha scelto un soggetto propostogli da Paolo Virzì, che ha cercato di fare ancora più suo in fase di sceneggiatura, scritta a quattro mani proprio con il regista livornese. Pierfrancesco Zalone, da tutti conosciuto come Checco, cerca il modo di dare una svolta alla sua vita aprendo a Spinazzola, paesino di poche anime sull’altopiano delle Murge in Puglia, un ristorante di Sushi. Peccato però che il business non attecchisce e che Checco si trovi costretto a chiudere, con il fisco fisso alle calcagna che comincia a pignorargli ogni cosa in suo possesso. L’unica soluzione che Checco ha a disposizione è scappare. Lontano. In Africa, ad esempio. Lo ritroviamo poco dopo in un lussuoso resort africano a lavorare come cameriere, apparentemente tranquillo a migliaia di chilometri di distanza da chi lo vorrebbe persino morto (la sua famiglia, ad esempio).

Paese che vai, problemi che trovi. Se in Italia Checco è metaforicamente in guerra con il fisco, in Africa la guerra vera e propria lo sorprende all’improvviso e lo costringe a ripensare i suoi piani e a ritornare, seppure contro il suo volere, sul suolo italiano, per poi di nuovo emigrare, magari in Liechtenstein (“lì almeno non lo saprà nessuno perché c’è il segreto bancario“). Ma a Checco, almeno inizialmente, spaventa più un F24 da pagare che un F-16 che sgancia bombe dal cielo o le continue telefonate delle sue ex mogli rispetto ad un’ esplosione che avviene sotto i suoi occhi. Checco si trova così a ripercorrere la rotta dei migranti, dal viaggio su un illos (una carretta malridotta stracolma di migranti) per il deserto fino alla traversata in barca attaverso il mar Mediterraneo.

Checco Zalone ha sempre cercato di fotografare la contemporaneità scherzandoci su, con il suo fare politicamente scorretto – ma senza mai esagerare più di tanto, va detto. Questa volta ha scelto l’immigrazione, tema molto spinoso e delicato, come bersaglio su cui fare satira. Immigrazione, ma anche tutto ciò che di negativo, in fatto di atteggiamenti, gravita attorno a questa parola: razzismo, intollerenza, xenofobia. Zalone si spinge fino a citare la parola fascismo, che lui paragona alla candida: nei momenti di stress e di difficoltà, eccolo lì che riaffiora. E’ chiaro fin da subito che Zalone non vuole risparmiare niente e nessuno, che rispetto ai precedenti lavori ha scelto volutamente di essere anche un po’ più cinico e cattivo del solito, andando ad attingere per il suo ruolo anche ad alcuni personaggi della commedia all’italiana (il Sordi di “Riusciranno i nostri eroi…” è citato esplicitamente in una scena del film).

Checco Zalone in Tolo Tolo

Sarebbe un atteggiamento del tutto inutile star lì a discutere se Tolo Tolo è un film che piacerà più alla destra o più alla sinistra. Se farà arrabbiare, persino inorridire più una fazione politica che l’altra. Zalone colpisce tutti, indistintamente. Quando sembra accusare una certa parte (“possibile che su questo barcone non ci sia uno dell’Isis?“) ecco che arriva a controbilanciare con una stoccata all’altra parte (“ma vaffanculo!”, risponde all’attivista di diritti umani che si azzarda a pronunciare la seguente frase: “I veri poveri sono quelli che i soldi li hanno già“).

Zalone ormai è arrivato a quel punto in cui può permettersi di fare e dire ciò che vuole. Come chiamare volti simbolo de La 7 (Mentana e Giletti) in un film distribuito da Medusa (di proprietà Mediaset). O concedersi finali meta-cinematografici e disneyani, à là Mary Poppins. L’inesperienza in cabina di regia, evidente in più punti durante il corso del film, è colmata dall’intelligenza di un personaggio che è diventato a pieno titolo (e a pieno merito) un’ottima maschera italiana capace di far immedesimare il pubblico che attira nelle sale raccontandone i vizi (l’egoismo e l’ignoranza, su tutti) fino a portarli all’estremo.

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