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Chacun son cinema

Cinema

Chacun son Cinéma, Cannes ci ricorda cosa ci siamo persi

Un gustoso film collettivo realizzato per i sessant’anni del Festival di Cannes, diventa oggi un ottimo prontuario per ricucire il rapporto tra pubblico e sala cinematografica.

Tempo di lettura: 2 minuti

Nelle scorse settimane il Festival di Cannes è passato agli onori della cronaca per l’insolita presentazione dei titoli della kermesse 2020. Di fatto, la manifestazione non si è tenuta nel rispetto delle restrizioni governative per la pandemia di Covid-19. Tuttavia, sono stati ugualmente annunciati i 55 titoli etichettati con l’iconica palma, che circoleranno come spore nei festival internazionali autunnali. La decisione del presidente Lescure e del delegato generale Fremaux ha suscitato critiche e scherno da parte degli addetti ai lavori, associando questa decisione alla marchiatura dei capi di bestiame. In occasione della riapertura (purtroppo solo ufficiale) delle sale italiane, andando a ripercorre le passate edizioni del Festival, il film collettivo Chacun son Cinéma è forse l’opera ideale per questo complesso periodo storico. Si tratta di un raffinatissimo progetto prodotto da Arte per conto del direttore Gilles Jacob in occasione della sessantesima edizione del festival (2007).

Il filo conduttore dei 33 cortometraggi, realizzati da alcuni dei maggiori registi internazionali, era il rapporto tra l’autore e la sala cinematografica. Ciascuno dei cineasti , nei circa tre minuti a disposizione, distilla la propria forza espressiva e poetica a tal fine. Parteciparono Palme d’Oro illustri, e non solo, come Nanni Moretti, Jane Campion, Theo Angelopoulos, Ken Loach e tantissimi altri. Sono rappresentati tutti i cinque continenti, a sottolineare come sia universale il legame liturgico tra le persone e le sale cinematografiche. In ciascuna delle pillole ogni autore esprime le verità del rapporto con il proprio cinema di riferimento, spesso identificato quasi come un ambiente essenziale dell’esistenza umana. La sala diventa teatro di amore, morte, evasione dalla società, pedagogia, scambio culturale.

Chacun son cinema

Non tutti i lavori, c’è da dire, sono particolarmente riusciti, ma è affascinante vedere come ogni regista riesca a cogliere un sfumatura o un aroma diverso di quello che in apparenza è un salone buio pieno di poltroncine disposte di fronte a un telo bianco. Questo caleidoscopio di visioni ci ricorda di cosa ci siamo privati in questi mesi e recuperarlo oggi diventa un invito universale ad avere maggiore rispetto per l’esperienza cinematografica. L’appello naturalmente riguarda istituzioni, esercizio e pubblico, dato che ciascuno dei tre interessati dovrebbe impedire che questi templi laici siano sigillati per sempre a causa dell’emergenza sanitaria. Chacun son Cinéma poteva passare per un’operazione celebrativa ridondante ma, a quasi quindici anni di distanza, rimane un elogio sincero da parte di trentatré artisti a questo ambiente simil-uterino che accoglie e diffonde le loro creazioni.

Solo per dare un’idea dell’entità dell’operazione, ecco l’elenco dei registi coinvolti: Raymond Depardon, Takeshi Kitano, Theo Angelopoulos, Andrei Konchalovsky, Nanni Moretti, Hou-Hsiao-hsien, Jean-Pierre e Luc Dardenne, Joel e Ethan Coen, Alejandro Gonzàlez Iñárritu, Zhang Yimou, Amos Gitai, Jane Campion, Atom Egoyan, Aki Kaurismäki, Olivier Assayas, Youssef Chahine, Tsai Ming-Liang, Lars von Trier, Raoul Ruiz, Claude Lelouch, Gus van Sant, Roman Polanski, Michael Cimino, David Cronenberg, Wong Kar-wai, Abbas Kiarostami, Bille August, Elia Suleiman, Maneol de Oliveira, Walter Salles, Wim Wenders, Chen Kaige, Ken Loach, David Lynch.

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