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Piazza con le sardine

Attualità

C’è sempre qualcuno più a sinistra di te

Scendono in piazza, e già questo sembra bastare. Sono più a sinistra, e già questo sembra bastare. Utilizzano slogan vuoti, frasi fatte e sorrisi puliti, e già questo sembra bastare. Si può ancora essere di sinistra senza essere una sardina?

Tempo di lettura: 7 minuti

C’è sempre stata una gara. Sopita, silenziosa, inconfessata. Ma c’è sempre stata. La gara a chi sta più a sinistra di te. C’è sempre qualcuno che sta più a sinistra di te. Una volta c’era il Pci ma la sinistra extraparlamentare era più a sinistra del Pci. Poi c’erano il Pds e i Ds, ma Rifondazione Comunista era più a sinistra. Poi arrivò il Pd e lì la gara divenne più accesa, tra ferreriani, vendoliani, civatiani, e poteri al popolo vari. Ah, e come dimenticare i girotondi e Il Popolo Viola? E, mentre noi a sinistra eravamo impegnati a far saltare tutti i governi di centrosinistra formati da Romano Prodi perché non erano troppo di sinistra, Berlusconi vinceva le elezioni politiche per 3 volte tra il 1994 e il 2008 , governando addirittura in maniera ininterrotta per 5 anni, e controllando una ampia maggioranza parlamentare almeno fino al 2013.

L’ultima moda di questo autunno inverno 2019/20 è quella delle Sardine. Leggo da più parti una sorta di gioco ad esclusione: come al solito, se non sei uno di noi fai il gioco della destra. Posto che la partecipazione democratica in piazza è sempre positiva, mi chiedo: è ancora lecito, è ancora possibile essere di sinistra senza essere una sardina? È ancora possibile ragionare, argomentare, con serietà ed equilibrio, senza ridurre tutto a una questione di tifo calcistico? È possibile che non si capisca che i nemici veri sono i populisti, tutti, non solo quelli di destra, ma anche i populisti di sinistra? Vediamo.

Sardine a piazza San Giovanni in Roma

Le sardine sono contro Salvini. Legittimo, probabilmente anche nobile e lodevole. La sensazione è però un po’ quella di chi cerca di chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. Se Salvini ha il gradimento popolare che i sondaggi gli attribuiscono, se ha vinto indiscutibilmente le ultime elezioni europee di maggio, è frutto sia della inadeguatezza della sinistra, ma anche e soprattutto di una mirata, ben strutturata, discutibilissima ma efficace macchina propagandistica che non è partita ieri, ma lavora come una schiacciasassi sulle macerie culturali lasciate dal ventennio berlusconiano da almeno da 5 anni. Non è una protesta di piazza che farà colmare il gap accumulato dalla sinistra in questi anni.

La sinistra tornerà ad essere sinistra quando smetterà di inseguire la destra sui suoi temi, quando smetterà di farsi dettare l’agenda dalla destra, quando troverà parole nuove per parlare alla testa delle persone e smetterà di imitare chi si limita a parlare alla pancia.

In tutto questo, Salvini ha governato 18 mesi tra il 2018 e il 2019 senza nemmeno una “sardinata” occasionale. Scendere in piazza quando il tuo nemico numero 1 è passato all’opposizione (per sua scelta di opportunità politica, perché è elettoralmente più proficuo stare all’opposizione piuttosto che continuare ad accollarsi l’onere di governare) ha l’aria di manovra pretestuosa; legittima, perché tutto è legittimo in politica, ma pretestuosa.

Matteo Salvini

Essere contro Salvini è un primo punto. Dopo, cosa c’è a forgiare la tua identità pro? La difesa della Costituzione? Ma la Costituzione in quanto legge fondante il nostro ordinamento è l’impalcatura, la base di valori che tutti dobbiamo condividere e dai quali dobbiamo partire per poi dividerci sulle ricette politiche. Ma se le ricette politiche non ci sono?

Le sardine non hanno il compito di avanzare proposte. Legittimo, ci può stare che in una Democrazia rappresentativa sostanzialmente partitocentrica l’onere della proposta politica spetti appunto ai partiti. Ma gran parte della critica della sinistra al Movimento Cinque Stelle, soprattutto nei primi anni, verteva sul fatto che fossero populisti perché sapevano solo protestare e non proporre. Critica, discutibile ma legittima, che per essere valida deve però valere sempre. Vige invece un insopportabile doppiopesismo. Delle due, l’una: o abbiamo sbagliato a tacciare come populisti i cinquestelle, o sono populiste anche le sardine. Tertium non datur. Forse è più semplice di così, forse è solo che il populismo di sinistra piace alla sinistra.

Le sardine pretendono che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare. A testimonianza del loro populismo, le sardine mettono come primo punto del loro programma, presentato durante la manifestazione di Piazza S. Giovanni a Roma, il più classico dei classici, il grido da bar per antonomasia, quel “Devono andare a lavorare!” tipico di certe chiacchere da autobus. È uno slogan populista in quanto generico (spara nel mucchio di un non ben definito “loro”), anticasta, con venature antiparlamentari in sfumatura. Tralasciamo poi l’idiozia di affermare che bisogna recarsi fisicamente in ufficio per lavorare, nel 2020. Ma qui evidentemente l’obiettivo iniziale era ancora una volta stigmatizzare l’assenteismo tradizionale di Salvini, dal Parlamento Europeo al Ministero dell’Interno al Senato. Sarebbe stato giusto, obiettivo preciso e circostanziato. E invece no, hanno preferito allargare a “chi è stato eletto”, facendo così passare subdolamente l’idea che il Parlamento sia composto da assenteisti che rubano lo stipendio, calunniando quindi anche le persone serie che espletano il loro compito con serietà, presenti trasversalmente in tutti i partiti.

Sardine a piazza San Giovanni in Roma

Chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solo attraverso i canali istituzionali. Il secondo punto più che populista è antistorico. Che ci piaccia o no, oggi la comunicazione politica si fa sui social principalmente, il politico ha un modo diretto di raggiungere il cittadino elettore, non ha più necessità del medium – giornalista. Tutto ciò ha chiaramente riflessi sulla qualità delle informazioni a disposizioni del cittadino, rischia di alterare il dibattito pubblico e mette in seria crisi l’informazione libera, pilastro democratico. Ma tutto questo non c’entra. Anche qui, Salvini in controluce; far passare l’idea che un politico possa usare i social solo e soltanto come fa Salvini è una idea ridicola. Siccome Salvini usa i social in maniera indegna allora noi chiediamo che nessun politico comunichi al di fuori dei canali istituzionali invece che prentendere un serio e onesto approccio comunicativo? Anche Obama comunicava sui social; anche Papa Francesco ha un account Twitter. Siamo seri su.

Le sardine pretendono trasparenza dell’uso che la politica fa dei social network. La trasparenza: richiesta lecita naturalmente. Anche qui echi lontani di un grillismo della prima ora, di quel “Apriremo il Parlamento come una scatola di tonno”. E in sottofondo, la credenza melliflua che ci sia sempre qualcosa di torbido, di poco pulito da dover smascherare. Applicare poi questo concetto all’uso che la politica (anche qui, in maniera generica: quale politica? Tutta indistintamente?) farebbe dei social network non significa evidentemente nulla. Anzi, diventa quasi paradossale questa richiesta di generica trasparenza se pensiamo che proprio su questo campo sarebbe da chiedere ben più che una generica trasparenza al partito di maggioranza relativa – M5s – e all’azienda privata che ne sta dietro – Casaleggio Associati – e che ne gestisce la piattaforma Rousseau. Ma su quel fronte tutto tace, è più semplice sparare nel mucchio indistinto della politica.

Le sardine pretendono che il mondo dell’informazione traduca questo nostro sforzo in messaggi fedeli ai fatti. Non si capisce bene quale sia l’oggetto di questa pretesa innanzitutto. Lo sforzo. Quale sforzo? Le manifestazioni? E come dovrebbe significare precisamente “tradurre in messaggi fedeli ai fatti”? Gran parte del successo delle sardine è dovuto al largo spazio che, sicuramente per loro merito, si sono riusciti a ritagliare sui media nazionali, ma anche per la grande disponibilità dei media nazionali a cavalcare il fenomeno del momento. Il rappresentante più mediaticamente esposto finora, Mattia Santori, è stato ospite da Fazio, da Gruber, da Floris, a Propaganda Live, oltre a numerose interviste sui più importanti quotidiani nazionali. Visto che è principalmente lui a veicolare il messaggio delle sardine, magari dovrebbe rivolgere verso sé stesso questa pretesa di fedeltà ai fatti.

Mattia Santori

Le sardine pretendono che la violenza venga esclusa dai toni della politica e anzi che la violenza verbale venga equiparata a quella fisica. Naturalmente chiunque si professi democratico è contro la violenza in tutte le sue forme, mi sembra patetico anche solo doverlo rimarcare, penso sia pacifico. È altrettanto pacifico che il dibattito politico italiano in questa fase, in questi anni, abbia raggiunto un livello infimo, che il linguaggio si sia sicuramente imbarbarito, che il messaggio si sia fatto più greve; tutto ciò però non è però necessariamente violenza. La politica è anche fatta di toni duri, di prese di posizione scomode, di passaggi crudi: è la politica.

Se la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, come è stato scritto, probabilmente oggi è vero anche il contrario.

Pretendere poi che un movimento di piazza decida quali toni debba usare il proprio avversario è quanto di più infantile si possa affermare.

Equiparare la violenza verbale a quella fisica inoltre non è solo puerile, ma rischia di diventare anche pericoloso. Innanzitutto, occorrerebbe stabilire cosa le sardine intendono per violenza verbale. È insultare? È calunniare? È offendere? È minacciare? Esistono già apposite norme sanzionatrici. Ma nessuno si sognerebbe mai di mettere sullo stesso piano un insulto verbale e una aggressione fisica. Mettere tutto insieme nello stesso calderone, annullare le differenze, usare volutamente linguaggi e concetti semplificati e semplicistici produce una pericolosa violenza intellettuale. Vogliamo equiparare anche questa alla violenza fisica? Di nuovo, siamo seri.

Sardina cartello

Abrogare il decreto sicurezza di Matteo Salvini. Richiesta più che legittima, forse anche sacrosanta; peccato che il PD, partito cui le sardine hanno l’ambizione di poter foraggiare in termini di idee e di consenso, non abbia dimostrato alcuna intenzione di abrogare il decreto sicurezza voluto da Matteo Salvini. Nel programma del Governo Giallo Rosso si legge un generico riferimento al fatto che “la disciplina in materia di sicurezza dovrà essere rivisitata, alla luce delle recenti osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica”. Chiederne l’abrogazione, in questa fase, con questi equilibri politici, con questi numeri in Parlamento, con queste volontà politiche in campo, equivale da un lato a un cane che abbia alla luna, e dall’altro a un patetico tentativo di auto apporsi sul petto una simbolica medaglietta, un attestato di partecipazione. Ugualmente (in)efficace ma certamente più seria sarebbe una raccolta di firme.

Nate pur supportare il candidato del PD alle prossime elezioni di gennaio in Emilia Romagna, ad oggi le sardine si sono diffuse a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale. È evidente che gran parte del loro futuro dipenderà dall’esito elettorale di gennaio.

Con una affermazione di Bonaccini avranno raggiunto il loro scopo e dovranno decidere se sciogliersi o “istituzionalizzarsi”, attraverso un percorso che sia prima di strutturazione interna e poi finalmente di costruzione di una proposta programmatica.

I prossimi mesi ci diranno se nuoteranno nel mare della irrilevanza o in quello della politica. Fino all’arrivo di qualcuno che sia più a sinistra di loro…

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