Mentre faceva ordine tra i cimeli di famiglia, il regista Francesco Corsi non poteva immaginare che avrebbe trovato un gancio per un nuovo documentario. Infatti, nel repulisti, si è imbattuto in una vecchia audiocassetta contenente le incisioni di una cantante folk dalla voce fuori dal tempo. Si trattava dell’artista fiesolana Caterina Bueno, musicista toscana di origini spagnole poco ricordata dalla musica italiana. Corsi, incuriosito, intraprende una ricerca più circostanziata, scoprendo una brillante carriera di cantante folk apprezzata anche oltreoceano. Scopre anche l’incredibile lavoro di archeologia musicale compilato da Caterina dopo i suoi viaggi per le campagne italiane. La cantante, infatti, vedeva come essenziale il salvataggio della musica contadina prima che venisse spazzata via dalla memoria collettiva. Tale rischio era concreto in particolare in un’Italia animata dalla crescita economica che stava smarrendo a poco a poco la memoria storica della cultura popolare: in un Paese sempre più scattante e industrializzato, non c’era spazio per il retaggio contadino.
Affascinato da questa figura assolutamente inafferrabile, Corsi ne racconta la vita con un pregiato documentario dalla struttura non lineare. Alterna le testimonianze di chi ha suonato con lei sui palchi di tutta Italia, oltre a materiale di repertorio soprattutto degli anni ’60 e ’70. Sorprendente il legame con Francesco De Gregori, grande debitore di Caterina dal punto di vista artistico e umano, al punto da dedicarle il brano Caterina. La figura della cantante ha incrociato, inoltre, anche personalità come Pasolini, Eco, Fo e cantanti come Giovanna Marini e Fausto Amodei. Analizzandone la parabola, si apprezzerà poi come la grandezza della Bueno si sia concretizzata non solo nel suo recupero, ma anche nella creazione di un dialogo con una musica apparentemente remota ma quanto mai viva nel nostro subconscio.
Ripercorrere i passi di Caterina per gli angoli più remoti del nostro entroterra, porrà lo spettatore di fronte al proprio retroterra culturale. Reinterpretando e assimilando un patrimonio cha passa dalla Calabria al Trentino, è come se la Bueno avesse distillato la nostra identità. In un momento segnato da una becera retorica nazionalista, questo gioiello funge anche da salutare rievocazione di un’artista che si impegnò duramente per la difesa della cultura “povera”. Sembra quasi impensabile che sia esistita così recentemente una donna tanto ineffabile e mistica, autrice di un lavoro per cui non sarà mai lodata a sufficienza. Si spera che il film circoli e attecchisca in tutta Italia con efficace lentezza, come avrebbe gradito la sua stessa protagonista.
Ti potrebbe interessare anche: Lourdes, tra business e fede