Borat – Seguito di film cinema (Borat 2) è disponibile su Amazon Prime Video dal 23 ottobre. Jason Woliner, regista, dirige Sacha Baron Cohen che torna a interpretare lo strambo Borat Sagdiyev. Sequel di Borat – Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan, il film segue le vicende dello strambo giornalista kazako che, rinchiuso in un gulag per aver causato disonore al proprio paese in seguito alla sua prima missione diplomatica, viene richiamato in servizio per tornare negli Usa e allacciare rapporti con il presidente Trump. L’impalcatura di Borat 2 non si discosta da quella del precedente film. Sacha Baron Cohen ci trascina nel sottobosco statunitense per mostrarcene il volto più retrogrado, reazionario e conservatore.
Il ritratto che viene fuori da certi personaggi risulta infine caricaturale. E, se non proprio reale, quantomeno tristemente realistico. È in questo scarto semantico, infatti, che va colta l’originalità dell’operazione “Borat-bis”. Sacha Baron Cohen non si situa in un genere preciso. Non segue, ad esempio, le orme di un Michael Moore. Non si inscrive pienamente nell’opera satirica, politica o sociale che sia. E, in effetti, neppure la commedia sembra combaciare con un’opera, e più in generale con un personaggio (una concezione) di spettacolo tanto irriverente e politicamente scorretto. La miscela che l’intero prodotto Borat rappresenta si situa forse nel fals(issim)o documentario. Difficile, in taluni casi, capire quando assistiamo a vere e proprie candid-camera. In ogni caso, il quadro che l’immagine restituisce è, appunto, abbastanza realistico.
Anche questo Borat, come il precedente, prende di mira l’ala repubblicana della politica a statunitense. Ne fanno le spese il presidente Trump e la cerchia di politici che vi gravitano intorno, partendo dal vicepresidente Michael Pence fino a Rudolph Giuliani, con accenni insistiti anche alla first lady Melania Trump. Il canovaccio tematico è il medesimo: la metafora del viaggio del giornalista in terra americana è l’occasione per un impossibile incontro fra culture. In questa pellicola, tuttavia, le distanze fra i due universi culturali, politici e sociali emergono con minor forza rispetto all’opera prima. Baron Cohen restringe leggermente il cerchio e il fuoco è più chiaramente indirizzato proprio verso l’attuale presidente.
A testimonianza di questa scrematura, acquista un peso non indifferente la compagna di viaggio di Borat, sua figlia Tutar Sagdiyev (Maria Bakalova). È proprio la figura della ragazza a innescare la sottotrama e a sostenere gli sviluppi narrativi principali. Per un Borat che si ridimensiona leggermente, Tutar assume il ruolo di vera e propria co-protagonista di un film che è anche un’epopea rosa. Le distanze socio-culturali tra Kazakistan e Stati Uniti vengono inquadrate dalla prospettiva di una simbologia femminile e femminista che assume alla lunga un peso determinante. È la ragazzina il veicolo del messaggio – infine progressista – di Borat 2. È il suo corpo il vero campo di confronto, l’autentico terreno di disputa: Tutar passa dallo “status” di merce (da controllare, custodire, curare e scambiare) in una società patriarcale, a quello di vero e proprio corpo politico e sociale, quello di una donna in carriera.
Questa parabola ascendente costituisce l’occasione per riflettere sul modello mediatico di costruzione della femminilità propria anche dell’Occidente. Dopotutto, il climax che segna la scena dell’incontro tra Giuliani con le mani dentro i pantaloni e l’ormai occidentalizzata (arresa?) Tutar – sembra suggerirci Baron Cohen – è sintomo e simbolo di una visione del mondo politicamente progressista, eppure segretamente oscurantista e retrograda.
Borat 2, nel frattempo, non lesina agghiaccianti eppure esilaranti sguardi verso una contemporaneità simile a un bestiario, compresi negazionisti del Covid-19 e dell’Olocausto, e festival di musica country di elettori che vedono nell’ex presidente Obama poco meno dell’incarnazione del demonio. Temi di scottante attualità, quest’ultimi, eppure affrontati a mio giudizio come mero corredo. Un diversivo, rispetto alla parte più consistente della trama. Come prevedibile, Borat – Seguito di film ha già fatto infuriare il presidente Trump, che ha giudicato Sacha Baron Cohen uno schifoso. Dal canto mio, ogni opera di ogni artista, che coraggiosamente si espone anche a dei rischi, è un inno alla libertà. La libertà più corrosiva e irriverente, forse. Eppure terribilmente necessaria.
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